Arrivabene Giovanni Francesco

di S. Carando in Dizionario biografico degli italiani, Cfr. www.treccani.it

Figlio di Leonardo e di Paola Cattabeni, nacque a Mantova intorno al 1515, se può essere considerato coetaneo di Niccolò Franco al quale l’A. apparve presto legato da comuni esperienze letterarie.
Membro dell’Accademia degli Argonauti, fondata a Casale dal Franco, con il nome di Oronte, nel 1547 pubblicò, insieme con alcuni componimenti di altri accademici, quattro sonetti e due ecloghe marittime intitolate: Hidromantia Maritima e Cloanto (in G. J. Bottazzo, Dialogi maritimi, Mantova 1547, cc. 127, 142-143, 154-167).
Dall’indice si apprende che l’opera avrebbe dovuto contenere anche due dialoghi dell’A., uno riguardante le “Isole” e l’altro il “Bussolo, la Calamita et gli Inventori di tutte le cose navali”, ma la stampa fu rimandata al secondo libro e si ignora se questo sia stato mai pubblicato.
Di scarso interesse si rivelano i sonetti, ove l’amore per Melite suggerisce comunque al poeta qualche delicata immagine di tradizione classica. Più importanti sono le ecloghe, specialmente la seconda, scritta in forma di dialogo, che, dietro lo schermo della reminiscenza virgiliana, adombra, fra l’altro, la polemica tra il Franco (Cloanto) e l’Aretino per diffondersi poi nelle lodi del cardinale Ercole e di Ferrante Gonzaga.
Al problema dell’amore (ma con le intenzioni del teorico, non già del poeta di Melite) ritorna l’A. nell’Oratione agli amanti,pubblicata da VenturinoRuffinelli in una silloge Delle lettere di diversi autori, I, Mantova 1547, cc. 72-82.
Lo scrittore intende chiarire che “il discorso amoroso è nato più tosto dalla conoscenza del mio e d’e mali altrui, che non dalle scole di Platone ove non sogliono entrare i poveri come son’io”. E in effetti l’opera assume, per l’andamento più oratorio che filosofico e certo calore autobiografico, una fisionomia particolare rispetto allo stile della trattatistica d’amore, anche se le conclusioni non divergono sostanzialmente dai canoni del contemporaneo petrarchismo platonizzante (libero dai fallaci piaceri d’amore, l’animo potrà approssimarsi alle più alte opere e alla contemplazione di Dio).
Dalle lettere che compaiono nella raccolta del Ruflinelli possiamo trarre notizia di altre poesie scritte dall’A. (madrigali e sonetti pubblicati in varie raccolte del tempo) e conoscere particolari riguardanti la sua vita privata, come l’amicizia che lo legava a Giambattista Possevino, col quale l’A. afferma di aver trascorso la fanciullezza e compiuto i primi studi; ed anche trovare conferma dei suoi affettuosi rapporti col Franco, che egli ospitò nella sua casa quando il beneventano si trasferì da Casale a Mantova.
Nel 1549 l’A. accompagnò in Francia il padre Leonardo, che si recava alla corte di Caterina de’ Medici, ma dovette tornare subito in Italia se nel febbraio del 1550 poteva scrivere da Roma ai Gonzaga per informarli dell’elezione di papa Giulio III. Un incarico analogo gli fu affidato cinque anni dopo, quando, morto Giulio III, si aprì il nuovo conclave che portò all’elezione di Marcello II.
Dal 1550 in poi, mentre si fanno più rare le notizie che si riferiscono all’attività letteraria dell’A., s’incontrano sempre più numerosi,i dati che attestano la sua attività diplomatica presso i Gonzaga. Divenne “famigliare” del cardinale Ercole, quando questi fu eletto da Pio IV presidente del collegio dei legati al concilio di Trento e rimase con lui dal 1561 al 1563, ragguagliando periodicamente la corte estense sulle divergenze,che sorgevano tra i partecipanti al concilio e su qualunque avvenimento si presentasse degno di nota.
Nel luglio 1562 fu a Roma per presentare al papa le dimissioni del Gonzaga, dimissioni che Pio IV respinse. Nel 1565, operando in tutt’altro settore della diplomazia gonzaghesca, gli fu assegnato il coordinamento delle notizie che pervenivano alla cancelleria ducale e la redazione di importanti dispacci contenenti istruzioni per i vari inviati mantovani. Si trovò quindi al centro dell’azione diplomatica disposta dal duca Guglielmo per il definitivo possesso del Monferrato contro le ambizioni di Emanuele Filiberto di Savoia.
Era desiderio dei duca ottenere l’appoggio imperiale in questa questione e l’A. si recò personalmente a Milano per trattare col governatore don Gabriele de La Cueva.
Oltre questa missione non si hanno elementi per ricostruire l’attività diplomatica dell’A., di cui è ignota la data di morte.
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