Morétti Cristoforo
A cura di Pierluigi Piano
Pittore (attivo nella seconda metà del sec. 15º). Originario di Cremona, è documentato a Milano (1451-53), al servizio dei Borromeo, a Torino (1463-65) e a Vercelli (1470-72), attivo nella chiesa di S. Marco. Tra i dipinti attribuitigli, l’unica testimonianza sicura sono le parti superstiti del trittico raffigurante la Madonna in trono col Bambino e santi (Milano, Museo Poldi Pezzoli; Bologna, Museo Civico) che lo mostra legato ai modi del gotico internazionale. (E.I.)
Chiamato a Casale per dipingere la cappella del Castello (Vinay, 129).
Dalle Schede Vesme (IV,1503 – 1508) apprendiamo da una lettera del Moretti, data 31 dicembre 1470, al Duca di Milano “Aliter cum vostra bona licentia ritornarà con lo Ill.° Sig. marchese de Monferato per conpir vel finir certa opera principiata…”. (Vesme, 1503).
Al novembre e al dicembre 1469 risalgono due atti compravendita di terreni in Casale Monferrato. Al 1471, 5 novembre, risulta tra i coerenti ad una casa in Casale, nel cantone Lago.
Il 14 gennaio 1485: “Nobilis magister Cristoforus de Moretis de Cremona pictor ex una parte et nobilis Stefanus de Eufis de Papia librarius ex alia convenerunt ad acordium infrascriptum pro certis libris a stampa dicti Stefani existentibus penes nobilem magistrum Franciscum Mantegacium librarium etiam Mediolanensem pro satisafaciendo certo debito quod habet dictus magister Stefanus versus predictum magistrum Cristoforum: videlicet quod dictus Magister Crstoforus accxeptabit dictos libros in solutionem pro illo pretio quod dixerint dictus magister Franciscus et magister Jacobus de Abiate librarius in Casali…”.
Michele Caffi (Arte e dolori, in «ASL», a. VI, 1879, pp. 566 – 575), scrive: “Cristoforo Moretto da Cremona fu pittore assai rinomato ed operoso alla metà del secolo XV. Poco rimane di lui; Milano ne conserva nel tempietto di S. Aquilino, entro la chiesa di S. Lorenzo, una tavola assai ragguardevole, ora quasi affatto ignorata, avvegnachè ricordata dal Lanzi nella sua Storia della pittura. Una lettera autografa di questo artefice al duca Galeazzo-Maria Sforza esistente nel grande Archivio di Milano, fa menzione di una cappella che egli «per servir lo ill. S. marchese de Monferato et similiter monsegnior lo gardinal nunc dipinge in castello a Caxale.». Appena veduta questa lettera, corsi a Casal Monferrato per osservare i lavori di messer Cristoforo se per buona sorte, almeno in parte, si fossero conservati. Non mi arrise fortuna. La cappella del castello venne fatta armeria e sebbene l’antica sua interna struttura non sia stata gran fatto alterata, scorgendosi ancora le crocette (indizi di consacrazione) sulle pareti e le pile dell’acqua benedetta, pure non vi si ravvisa traccia di dipinti nemmeno degli scrostamenti che rilevansi nella volta. Ho chiesto a qualche vecchio casalese se rammentasse di aver veduto pitture in quel luogo, se avesse inteso parlare di Cristoforo Moretto…, ma … chi era Carneade? – Nessuno seppe dirmene verbo.
Mi si condusse per altro alla caserma del Genio, già convento di S. Bartolomeo, ove in una stanza terrena stavansi in quel mentre scarpellando dalle pareti alcune stupende pitture murali che sembravano ritoccate da non molto tempo. Rimanevano ancora intatte poche cose, fra le quali un gruppo di teste, fattura del secolo XV, veramente meravigliose. Lamentai ai circostanti la barbarie che si compieva, ma un tappezziere che stava ritagliando carta fiorata per impiastrarla sulle pareti, mi avvertì che quello scarpellamento era necessario perché la colla addossata alla carta facesse buona presa sul muro. Un’altra camera attigua aveva, a quanto mi fu detto, dipinti bellissimi, ai quali, non ha guari, si diede di bianco. Non potei entrare in un salotto, ove un sergente mi narrava aver veduto altre pitture, oggi pure imbiancate, sulle quali gli sembrava fosse scritto il nome di Gaudenzio. Se v’è un Genio che faccia operare tali rovine, converrà dire che sia il Genio del male! Ma un vero mal Genio da tanto tempo si è messo fra noi e va sempre più estendendo i suoi malefici influssi.” (Caffi, 568 – 569).