Vincenzo I

Scheda pubblicata a cura dell’ ITIS E. Fermi Mantova e Società per il Palazzo Ducale.


Vincenzo I, così diverso, anche nell’aspetto, dal padre, aprì Mantova ad una nuova era. Il vertice dello splendore con lui coincise con l’inizio della fine. Nato da Guglielmo e da Eleonora d’Austria nella notte tra il 21 e il 22 settembre 1562, il quarto duca di Mantova e secondo del Monferrato fu educato da ottimi maestri. Il suo carattere esuberante e prodigo fu senza dubbio accentuato dalla tirchieria paterna, avvertita dal giovane principe come un limite notevolissimo. Né i contrasti con Guglielmo poterono giovare e al suo carattere e al loro rapporto. Bello, fascinoso, abile nelle armi, spendaccione, forse un po’ gradasso: ecco un plausibile ritratto del giovane Vincenzo. Giovi a tal segno ricordare quell’episodio burrascoso che segnò la sua gioventù: giunto in Mantova l’intellettuale scozzese James Crichton, dandy navigato, capace di parlare una decina di lingue, ottimo musicista e cantante, poeta, spadaccino, bello, grande amatore e caratterizzato da una ferrea memoria, tanto da essere indicato come il nuovo Pico della Mirandola, l’invidia per questo personaggio così scomodo nella sua grandezza culminò nell’assassinio (ufficialmente fu un incidente) avvenuto in piazza Purgo nella notte del 3 luglio 1582.

Vincenzo prese il potere il 22 settembre 1587. Bastò solo la cerimonia del suo insediamento per far capire che il nuovo corso di Mantova era all’insegna della prodigalità e del lusso. La sua mise per l’incoronazione era costata ben 36.000 ducati, e ben 150.000 ne era stimata la pietra collocata sul tocco ducale.

Ancora principe ereditario, Vincenzo nel 1581 aveva sposato la bella Margherita Farnese.

Un matrimonio che sembrava perfetto, non solo per il piacevole aspetto dei due coniugi (che avrebbe fatto presagire una forte e splendida prole), ma anche per il riavvicinamento tra Mantova e Parma. Ma la sorte era dietro l’angolo: la povera Farnese era afflitta da una malformazione incurabile, che rendeva impossibile l’atto sessuale. Quelle che Vincenzo, la prima notte di nozze, credette smanie verginali, in realtà erano grida di dolore. Trascorsi due tristi anni venne annullato il matrimonio mai consumato. La povera Farnese, forse veramente amata da Vincenzo ma sottomessa alla ragion di Stato, tornò a Parma prendendo i voti nel convento di San Paolo. Come nemesi divina ella morirà ad età avanzatissima, seppellendo praticamente tutti i protagonisti di questa triste vicenda. Le attenzioni matrimoniali si rivolsero quindi su Eleonora de’ Medici. Ma la madre di lei, la veneziana Bianca Capello, si era ricordata di come a suo tempo non fosse stata riconosciuta da Guglielmo Gonzaga, alla stessa stregua di molti altri signori italiani, e volle sottoporre il giovane Vincenzo ad un’umiliante prova di virilità da tenersi a Venezia. Superato anche questo incidente non senza difficoltà (Vincenzo, nonostante fosse giovane e prestante, si era abbuffato di cibi piccanti, ritenuti afrodisiaci, e ne rimediò invece una drammatica colica ed una magra figura), si risposò nel 1584 con Eleonora dei Medici.

Il governo di Vincenzo, come ricordano gli storici, fu caratterizzato da una politica accorta (anche nei confronti dei sudditi del Monferrato), ma blandamente filofrancese.

Il carattere volubile o poliedrico di Vincenzo si rivelava per esempio negli sperperi per il lusso o nelle enormi cifre gettate al gioco, e contemporaneamente nelle sovvenzioni date in occasione di calamità pubbliche o nella capacità del duca di commuoversi di fronte ai poveri. Vincenzo si caratterizza anche per alcune velleitarie spedizioni militari contro i turchi, tenute in Ungheria tra il 1595 e il 1601. Avventure segnate dal lusso e da uno splendido modo di vivere: i soldati partirono con divise nuove e tutte uguali e la prima spedizione fu caratterizzata anche dalla presenza di Claudio Monteverdi e di una compagnia di musici. Più dei successi militari, invero scarsissimi, la spedizione vincenzina colpì l’Europa e i Turchi attraverso le feste e i ricevimenti che caratterizzarono la vita al campo militare: addirittura i Turchi arrivarono a chiamare Vincenzo “il Pascià di Mantova”.

Seppur legatissimo al gioco, all’ostentazione della ricchezza, all’amore per la bellezza, anche, ovviamente, femminile, Vincenzo si dimostrò uomo sensibile, tanto da avere una vera venerazione per il cugino Luigi Gonzaga di Castiglione, poi salito alla gloria degli altari, da meditare di concludere i suoi giorni in povertà nell’eremo di Camaldoli, da indicare come vescovo di Mantova la figura splendida di fra’ Francesco Gonzaga di Gazzuolo, uomo di grande spiritualità e capacitò amministrativa divenuto poi venerabile.

Nelle arti fu attento e geniale. Protesse Torquato Tasso, creò pittore di corte Pietr Paul Rubens (fu tra i primissimi in Italia ad accorgersi della novità fiamminga; ricordiamo inoltre che Rubens anche acquisiva opere sul mercato per il duca: fu in questo modo che giunse a Mantova la Morte della Vergine di Caravaggio). Vincenzo chiamò inoltre come maestro di cappella il cremonese Claudio Monteverdi (Mantova era già il baricentro mondiale della musica contemporanea con altri maestri come Palestrina, Giaches de Wert, Gian Giacomo Gastoldi).Palazzo Ducale raggiunse sotto Vincenzo il massimo splendore. Le collezioni qui conservate, che si ingrandirono ulteriormente con Ferdinando, giunsero una tal vetta di splendore che non temettero paragoni con nessun altra raccolta. Erano infatti invidiate e bramate da papi e imperatori. Sempre sotto Vincenzo Casale fu munita di quel capolavoro di ingegneria militare che fu la Cittadella, oggi demolita, ma baluardo insuperabile costato un milione in oro.Durante il ducato di Vincenzo venne inoltre istituito il ghetto: Mantova fu tra le ultime città d’Italia ad adeguarsi ai dettami romani, anche sulla spinta di alcune figure di predicatori che propagandarono l’odio antisemita. Ciononostante l’antichissima comunità ebraica di Mantova si trovò sempre magnificamente nella città dei Gonzaga, forse anche per gli evidenti interessi economici.Nel 1608 vi fu il matrimonio del primogenito Francesco con Margherita di Savoia, anche tentativo di sanare la rivalità accesa tra le due casate a causa del Monferrato. Lo sfarzo delle nozze sbalordì tutti i principi d’Italia. Fu per quest’occasione che venne eretto l’arco trionfale tra piazza Sordello e piazza Castello. Ma soprattutto prese vita il melodramma, attraverso l’Orfeo di Monteverdi. Vincenzo inoltre istituì l’ordine cavalleresco del Redentore, per il quale rinunciò all’ambitissimo collare del Toson d’oro, col quale l’aveva insignito Filippo II di Spagna nel 1589.

Vincenzo morì il 18 febbraio 1612 e fu sepolto (secondo una tradizione con ogni sfarzo e segno della dignità ducale) in un ambiente segreto della cripta di Sant’Andrea, vicino al grande altare del Preziosissimo. Lasciò cinque figli legittimi (un sesto era morto bambino) e tre naturali poi riconosciuti. Nella sua discendenza merita segnalare che i tre figli maschi si avvicendarono alla dignità ducale e furono gli ultimi Gonzaga del ramo principale: Francesco IV, Ferdinando, Vincenzo II. Tra le figlie meritano memoria almeno Margherita, sposa di Enrico, duca di Lorena, ed Eleonora, moglie di Ferdinando II e prima imperatrice di casa Gonzaga.