Corrado

a cura di J. S. C.. RILEY SMITH


Scheda pubblicata in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XXIX, Roma 1983, pp. 381-387.
La presente scheda è stata inserita grazie alla autorizzazione rilasciata dall’ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA fondata da Giovanni Treccani [Prot. 495/04/DE del 19 novembre 2004] che si ringrazia per la disponibilità.


Secondogenito di Guglielmo il Vecchio, marchese di Monferrato, e di Iulita, figlia di Leopoldo d’Austria e di Agnese di Svevia, nacque intorno al 1146. Aveva vincoli di parentela con le principali case regnanti europee: era cugino primo dell’imperatore Federico I e dei re di Francia Luigi VII.
La prima notizia certa su C. risale al 1160 quando è ricordato dalle fonti al seguito dello zio materno Corrado vescovo di Passau. Dopo questa data mancano per alcuni anni notizie sicure su di lui. Sappiamo che nel 1164 uno dei figli di Guglielmo si trovava a Parigi: lo testimoniano alcune lettere inviate dal marchese al re di Francia per ringraziarlo della benevola accoglienza; ma le lettere tacciono il nome del figlio di Guglielmo. Né siamo in grado di stabilire se riguardassero C. le trattative condotte da Guglielmo nel 1166 e nel 1168 per dare in sposa ad uno dei suoi figli una delle figlie del re d’Inghilterra Enrico II; ed ignoriamo infine quale dei figli del marchese si fidanzasse successivamente con una sorella del re di Scozia Guglielmo. Le testimonianze certe su C. riprendono a partire dal 1172, quando lo troviamo coinvolto nel conflitto apertosi tra Federico I e i Comuni lombardi.
Tradizionalmente filoimperiali, i marchesi di Monferrato erano schierati dalla parte del Barbarossa. Tuttavia il padre di C., Guglielmo, intratteneva da tempo buoni rapporti anche con l’imperatore di Oriente Emanuele Comneno. Questi aveva inaugurato un nuovo indirizzo della politica estera bizantina diretto ad acquistare influenza nell’Italia centrosettentrionale e perciò cercava di trarre vantaggio dal contrasto tra i Comuni e Federico I sostenendo i primi contro il secondo.
Nel 1172 C. risulta in Toscana al seguito del cancelliere imperiale Cristiano, arcivescovo di Magonza, giunto in Italia l’anno precedente. Fu presente tra l’altro alla decisione presa da Cristiano di mettere al bando dell’Impero il Comune di Pisa in conformità con l’impegno assunto con Genova. Non sappiamo, invece, se C. seguisse Cristiano nella Marca e fosse presente all’assedio posto dal cancelliere alla città di Ancona nel medesimo anno. Per gli anni successivi mancano notizie su Corrado. Il Ficker ritiene che egli avesse ricevuto da Cristiano il governo della Toscana meridionale; ma questa ipotesi non appare confortata da alcuna testimonianza. Non conosciamo dunque l’attività di C. nel momento più acuto della lotta tra Comuni e imperatore. Solo dopo la sconfitta di quest’ultimo le fonti ricordano ancora Corrado. Alla fine del 1176 egli prendeva parte attiva all’organizzazione delle trattative tra Federico I e Alessandro III: si impegnò infatti con giuramento a garantire piena sicurezza ai rappresentanti del pontefice che dovevano partecipare al congresso di pace. Ed è probabile che egli stesso scortasse i legati papali dalla Toscana fino al campo imperiale presso Modena. Al fianco di Federico I trascorse gli ultimi giorni del 1176 e i primi mesi dell’anno successivo recandosi nel marzo a Coccorano presso Fano, poi in Toscana e quindi a Ravenna. Nell’agosto era a Venezia ove si svolgevano le trattative per la pace. Il 22 di questo mese risulta poi nella Toscana meridionale, ove ricevette per conto della sorella Agnese le terre e le corti di Poggibonsi e Marturi.
Ancora all’inizio del 1178 è testimoniata la sua fedeltà alla causa imperiale: il 3 gennaio, infatti, lo troviamo ad Assisi al seguito dei Barbarossa. Successivamente dovette ritirarsi nelle terre di Poggibonsi e Marturi che amministrò fino al maggio dello stesso anno, quando la sorella Agnese trasferì il dominio all’altro fratello Raineri. La sua fedeltà al partito imperlale si interruppe bruscamente nella seconda metà del 1178.
La pace di Venezia dal 1177 aveva imposto all’imperatore di restituire alla Chiesa le terre che negli anni precedenti le aveva sottratto. Di tale restituzione fu incaricato Cristiano di Magonza. Tra le altre città Viterbo fu restituita all’obbedienza del papa; ma mentre il popolo fu favorevole a tale decisione, i nobili si opposero e promossero una rivolta contro la Chiesa e contro il cancelliere imperiale. Essi chiesero a C. di guidare la ribellione.

I motivi del radicale mutamento di politica da parte di C. non sono chiariti dalle fonti. Se l’ipotesi del Ficker fosse esatta, si potrebbe pensare che egli fosse stato costretto a lasciare il governo della Toscana meridionale e che, per tale motivo, avesse aderito alla lega formata da alcuni grandi Comuni toscani contrari al nuovo corso politico imperiale. Ma questa resta, allo stato delle fonti, una mera ipotesi. Appare però possibile interpretare l’azione di C. alla luce della linea politica adottata dal marchesato di Monferrato dopo la sconfitta imperiale e soprattutto dopo la pace di Venezia. Tale politica risulta caratterizzata da un sensibile abbandono della tradizionale fedeltà all’imperatore germanico e da un progressivo avvicinamento al mondo comunale al fine di evitare il pericolo di un completo isolamento. Espressione di questa nuova linea di azione è, ad esempio, il patto di alleanza stretto nel giugno 1178 da Guglielmo con il Comune di Alessandria. Inoltre di fronte al declino dell’autorità di Federico I in Italia, il marchese Guglielmo accentuò gli antichi vincoli di amicizia con l’imperatore bizantino, il quale era decisamente contrario all’accordo tra il Barbarossa e Alessandro III, accordo che gli chiudeva ogni spazio di manovra, e sosteneva la rivolta dei Comuni toscani contro l’attuazione del trattato di Venezia. Sembra allora lecito pensare che l’accettazione da parte di C. di guidare la rivolta dei nobili viterbesi rientrasse nel nuovo corso politico seguito da Monferrato.

L’azione militare di C. non fu fortunata. Forse nello stesso 1178 egli fu fatto prigioniero da Cristiano e dovette pagare una consistente somma di riscatto, per raggiungere la quale – probabilmente – furono vendute dal fratello Raineri e dal padre le terre di Poggibonsi e Marturi (Ilgen). L’insuccesso non gli fece mutare politica. Al contrario, C. e la sua famiglia accentuarono i legami con Emanuele Comneno, una cui figlia nel febbraio 1180 andò sposa a Costantinopoli al fratello di C., Raineri. E con l’aiuto dell’imperatore bizantino e dei Comuni suoi alleati in Italia C. preparò la sua vendetta contro Cristiano di Magonza. Allestito un forte esercito, C. il 29 sett. 1179 assalì a Pioraco, presso Camerino, il campo dei cancelliere imperiale e lo fece prigioniero. Trasportatolo a Montefiascone e poi ad Acquapendente, C. lo affidò al fratello Bonifacio e quindi partì per Costantinopoli.

E’ probabile che intendesse trasferire in Oriente Cristiano, considerato dal Comneno uno dei principali ostacoli della politica bizantina in Italia. Ma all’inizio del 1180 la politica bizantina subiva un grosso insuccesso: Lando di Sezza – che il Comneno aveva fatto eleggere papa con il nome di Innocenzo III da un gruppo di cardinali dissidenti e che costituiva la pedina più valida della sua politica italiana – venne catturato da Alessandro III. Gli ambiziosi progetti del Comneno subivano un duro colpo, mentre la prigionia di Cristiano perdeva il suo originario valore. La fine della politica bizantina in Italia era poi sancita dalla morte dello stesso Comneno nel settembre 1180. Ma ancor prima che la notizia della morte potesse giungere in Italia, il fratello di C., Bonifacio, aveva iniziato le trattative per la liberazione di Cristiano: per essa furono versati 12.000 iperperi.

La fine della politica bizantina in Italia indusse i marchesi di Monferrato a rivedere le scelte politiche fatte negli ultimi tempi. Rientrato in Italia da Costantinopoli nel 1182, C. condivise il riavvicinamento del marchesato a Federico I attuato dal padre e dai fratelli. Il 4 febbr. 1183, ad esempio, fu C. a rappresentare l’imperatore nel trattato di alleanza con Tortona. Nel 1185 il padre di C. Guglielmo partì per la Terrasanta (dove il regno di Gerusalemme era retto da Baldovino V, figlio del fratello di C., Guglielmo, il quale aveva sposato Sibilla, figlia dal re di Gerusalemme Baldovino IV ed era morto già nel 1177) lasciando iì governo del marchesato a C. e all’altro figlio Bonifacio. I due fratelli mantennero l’alleanza con l’Impero: nel 1186 C. risulta al seguito di Federico I e l’anno successivo fu tra i testimoni dell’atto con cui Enrico VI il 24 marzo ad Asti acquistò dal marchese di Saluzzo la Val di Susa.
Il ritorno in Italia di C. non aveva però interrotto i rapporti dei Monferrato con l’impero bizantino. A loro si rivolse nel 1186 l’imperatore Isacco II Angelos che aveva conquistato il trono l’anno precedente. Al fine di avere un fedele condottiero a sostegno del suo governo, egli propose a Bonifacio di trasferirsi a Costantinopoli e gli offrì in sposa la sorella Teodora. Poiché Bonifacio aveva già moglie, la proposta di Isacco fu accolta da C. che, sposatosi nel 1179, era rimasto vedovo. C. si imbarcò poco dopo il marzo 1187: le nozze furono celebrate subito dopo il suo arrivo e C. ricevette il titolo di Cesare.
Poco tempo dopo il matrimonio C. fu impegnato militarmente a sostegno del cognato. L’esercito e la nobiltà provinciale, guidata da un brillante generale, Alessandro Branas, si erano ribellati e avevano assediato Costantinopoli. Con i fondi fornitigli da Isacco, C. arruolò 250 cavalieri e 500 fanti fra i latini residenti a Costantinopoli. Un esercito congiunto greco?latino fece una sortita dalla città ed impegnò con successo le truppe avversarie. Alessandro Branas fu ucciso. Ma ben presto la sicurezza di C. cominciò a venir meno, forse a causa dell’ostilità dimostratagli a corte dal partito che aveva sostenuto il Branas. Inoltre egli aveva motivi di risentimento verso il cognato perché non aveva ricevuto tutti i privilegi che normalmente erano conferiti ad un Cesare. E’ anche possibile che, avendo fatto voto di partecipare ad una crociata, egli si rendesse allora conto che non avrebbe ricevuto un grande aiuto da Bisanzio. Qualunque sia stato il motivo, è certo che C. decise di lasciare Costantinopoli: noleggiò una nave genovese e partì per la Siria.
La sua nave, giunta a San Giovanni d’Acri in Palestina alla fine di luglio o all’inizio d’agosto 1187, corse il rischio di essere catturata dai Musulmani che avevano da poco occupato la città. Alla fine, C. si diresse verso Tiro, dove trovò una situazione disperata. Il 4 luglio l’esercito più numeroso mai posto in campo dal Regno di Gerusalemme era stato completamente distrutto nella battaglia di Hattin; tra i prigionieri dei Musulmani c’erano il nuovo re Guido ed il padre stesso di Corrado. Alla metà di ottobre, Tiro era l’unica città che restava in mani cristiane. Il suo capo stava negoziando la resa e il Saladino aveva mandato due stendardi da esporre sulla cittadella.
C., strettamente imparentato agli Staufen ed ai re Capetingi e zio dell’ultimo re di Gerusalemme fu naturalmente designato come capo della città: la sua tutela su di essa, secondo una delle fonti, doveva durare fino all’arrivo di una crociata guidata da uno dei re d’Occidente. C. insistette affinché a lui e ad ogni suo eventuale erede fosse garantito il riconoscimento del titolo di signore. Sembra che egli avesse associato al suo governo un ” comune “, cioè un’associazione giurata di prelati, cavalieri e borghesi. Egli cercò lo aiuto dei Comuni marittimi d’Italia, Provenza e Spagna. Rinforzò le fortificazioni e cercò di reclutare truppe fresche. La sua prima decisione, comunque, fu quella di respingere le richieste del Saladino e di buttare nel fossato gli stendardi musulmani. E quando, pochi giorni dopo, il Saladino in persona apparve davanti alla città, C. continuò a sfidarlo, anche dopo che gli fu offerta la libertà del padre in cambio della consegna della città. Il Saladino rinnovò l’assedio di Tiro nel novembre 1187, ma il vigore dei difensori, che catturarono cinque delle dieci navi musulmane e incaricate di bloccare la città dal mare e che ne fecero arenare diverse altre, e il deteriorarsi del proprio esercito, convinsero il sultano a ritirarsi il 1° genn. 1188. Fu, dunque, merito di C. se fu mantenuta in Palestina la presenza cristiana, la quale consentì la sopravvivenza del Regno di Gerusalemme per un altro secolo.

E’ difficile stabilire quali fossero le prime reazioni di C. di fronte alla situazione politica in cui venne a trovarsi. Fino al maggio 1188 egli riconobbe la sovranità di Gerusalemme, ma altre dovevano essere le sue ambizioni, come si può rilevare dal fatto che egli concesse privilegi cittadini a località della Palestina, oltre a Tiro, sulle quali egli non aveva alcun diritto. Dopo il rilascio del re Guido da parte del Saladino nel 1188, C. rese pubblico il suo punto di vista, lamentando che Guido rendesse difficile la difesa di Tiro e riferendosi a lui come ad uno che ” una volta era stato re “. Non permise a Goffredo, fratello di Guido, di entrare a Tiro, e quando, nella primavera del 1189, il re e la regina di Gerusalemme in persona comparvero di fronte alla città, trovarono le porte chiuse. Nelle fonti ci sono diverse versioni delle ragioni addotte da C. per vietare al re, legittimamente incoronato, l’ingresso in una città che aveva fatto parte dei domini reali. Secondo una fonte, egli proclamò di essere di diritto il signore di Tiro. Secondo un’altra, egli sostenne che Tiro era sua per diritto di conquista, presumibilmente perché i suoi sforzi l’avevano salvata. Ancora, egli avrebbe affermato che Guido, perdendo il territorio, aveva perso anche il trono, e che, in ogni caso, egli non era in grado di nutrire il re e il suo seguito; e alcuni contemporanei udirono anche che egli aveva promesso di consegnare la città a chiunque fosse stato legittimo re o crede del regno – un’affermazione che suonava dì per se stessa come sfida all’autorità di Guido -, e che egli aveva affermato di essere il rappresentante dei sovrani europei che stavano per arrivare per la crociata.

Quest’aperta manifestazione di ambizioni sembra costasse a C. il sostegno di molti capi cristiani. Fin dal mese di settembre 1188 egli protestava per l’opposizione dei magnati, e quando, nell’aprile 1189, con un atto coraggioso e previdente Guido marciò verso sud per cingere d’assedio San Giovanni d’Acri, i suoi più importanti vassalli si misero al suo seguito. C. non ebbe altra scelta che imitarli. Nel settembre 1189 il crociato margravio Luigi di Turingia lo convinse a partecipare all’assedio di San Giovanni d’Acri, giusto in tempo per prendere parte alla dura battaglia del 4 ottobre, quando i Cristiani tentarono di distruggere le forze del Saladino giunte alle loro spalle: C. stesso poté sfuggire alla cattura grazie all’aiuto offertogli cavallerescamente da Guido in persona. Più tardi egli pose le sue postazioni all’estremità nordoccidentale delle linee d’assedio, nei pressi del mare, e costruì un nuovo porto in grado di provvedere ai rifornimenti provenienti da Tiro, chiamato per lungo tempo dopo il “Porto del marchese”. Il 4 marzo 1190, di ritorno da Tiro, egli riapparve al largo di San Giovanni d’Acri con una flotta che riuscì a sconfiggere completamente le navi egiziane che l’avevano intercettata e che portavano uomini e rifornimenti. Lo 11 aprile si arrivò ad un accordo fra C. e Guido: a C. furono conferiti i diritti di signoria sulle città settentrionali di Tiro, Sidone e Beirut (di queste tre, solo Tiro era in mano cristiane).
Il 10 giugno 1190 l’imperatore Federico I annegò durante la crociata e il 21 i resti della crociata tedesca sotto la guida di uno dei figli dell’imperatore, il duca Federico di Svevia, raggiunsero la città siriana di Antiochia. C. fu inviato incontro a Federico davanti a San Giovanni d’Acri. Corsero voci che il Saladino gli avesse pagato 60.000 bisanti per incoraggiare i Tedeschi ad allontanarsi da Antiochia, dove, si asserì, sarebbero stati molto più utili che a meridione; ma appare più probabile che C. avesse ricevuto l’incarico di farli venire a San Giovanni d’Acri.
Nell’autunno dei 1190 morirono la regina di Gerusalemme e le sue due figlie. La regina Sibilla era la maggiore delle due sorelle del re Baldovino IV, e il re Guido doveva la corona al suo matrimonio con lei. Già nel 1186 una consistente frazione dei baroni aveva sostenuto la rivendicazione al trono della sorella minore Isabella. Alla morte di Sibilla queste rivendicazioni furono rinnovate: ma le possibilità di Isabella erano sminuite dalla personalità del marito, Umberto di Toron, che sembrava inadatto a salire al trono. C. si alleò allora con Maria Comnena madre di Isabella e regina di Gerusalemme in quanto erede del titolo del marito, e con un gruppo di nobili capeggiato dal secondo marito di Maria, Balian di Ibelin signore di Nablus. Costoro progettavano di far annullare il matrimonio di Isabella con Umberto e di far sposare Isabella a Corrado. Perciò rapirono Isabella dalla sua tenda che si trovava accanto a quella del marito nell’accampamento davanti a San Giovanni d’Acri. Isabella, che sembra amasse sinceramente Umberto, inizialmente rifiutò l’annullamento, ma alla fine fu convinta a dare il suo consenso. Il rapimento causò una grande agitazione nel campo cristiano; ma, sebbene alcuni crociati più tardi attribuissero le loro disgrazie alla punizione divina causata da quest’azione peccaminosa, in quel momento era diffusa la convinzione, sostenuta dai più grandi baroni, che gli interessi del regno sarebbero stati avvantaggiati dal matrimonio fra C. e Isabella. Nel frattempo C. aveva ottenuto l’appoggio del vescovo di Beauvais, primo cugino del re di Francia e perciò suo stretto parente, e del legato papale, l’arcivescovo Alberto di Pisa. Fu costituita una corte ecclesiastica che dichiarò invalido il matrimonio tra Umberto e Isabella e questa ultima sposò Corrado.

Decisamente contrario alla decisione e alla procedura fu l’arcivescovo di Canterbury, il quale nella corte ecclesiastica fungeva da rappresentante del patriarca di Gerusalemme allora ammalato. Egli scomunicò tutti coloro che erano coinvolti nel nuovo matrimonio. Non c’era infatti nessuna prova che Teodora Angelos, che C. aveva lasciato a Costantinopoli, fosse morta; e anche se lo fosse stata, il matrimonio sarebbe stato incestuoso secondo il diritto canonico, poiché Sibilla, sorella di Isabella, era stata moglie del fratello di C., e Isabella stessa era comunque bigama poiché l’annullamento del suo matrimonio con Umberto fu riconosciuto solo in seguito.

Appena sciolta dal legame con Umberto, Isabella, come legittima erede, richiese formalmente il regno all’Alta Corte di Gerusalemme. La sua richiesta fu accettata e ad essa fu tributato omaggio. Ella allora si recò a Tiro con C. il quale sembra essere tornato all’assedio nel febbraio 1191. Ma benché nel maggio 1191 C. si autodesignasse come re eletto, né lui né Isabella furono incoronati, forse perché ci si rese conto che con la riconquista della Palestina i re crociati provenienti dall’Europa si sarebbero trovati nella posizione di garantire o negare le rispettive conquiste all’uno o all’altro dei pretendenti al trono.
Il 20 aprile e l’8 giugno rispettivamente il re di Francia e il re d’Inghilterra arrivarono davanti a San Giovanni d’Acri. La casa di Monferrato era imparentata con Filippo dì Francia; la famiglia di Lusignano, cui apparteneva Guido, era vassalla francese di Riccardo d’Inghilterra. La presenza dei due re e l’imminente caduta del porto più importante della Palestina incoraggiò i rivali a rivendicare ancora una volta i loro diritti: C. era sostenuto dai crociati di Filippo, dai baroni di Gerusalemme, dai templari e dai Genovesi. Guido protestò formalmente davanti ai re, che acconsentirono ad emettere un verdetto. Ma per C. solo l’Alta Corte di Gerusalemme era competente a decidere e a riconoscere la legittimità dell’eredità della moglie. Quando il fratello di Guido, Goffredo di Lusignano, lo convocò di fronte ai re, accusandolo di fellonia, spergiuro e tradimento, egli rifiutò di sottoporsi al processo e partì per Tiro. Filippo e Riccardo concordarono presto di non conservare per sé le loro conquiste, ma di consegnarle tutte a colui che essi avessero designato come legittimo sovrano. Sembra che C. si rendesse conto di quanto fosse importante assicurarsi che le conquiste di Filippo non fossero inferiori a quelle di Riccardo. Quindi affrettò il suo ritorno a San Giovanni d’Acri, consigliando Filippo come garantirsi un’equa spartizione delle spoglie.
San Giovanni d’Acri cadde nelle mani dei Cristiani il 12 luglio. C. svolse un ruolo di primo piano nei negoziati con la guarnigione musulmana, e sembra che all’incirca 14.000 denari del tesoro di San Giovanni d’Acri fossero pagati direttamente a lui e al suo seguito. Egli era anche al comando del gruppo che prese possesso della città. Il 26 luglio, consigliato da Filippo, si presentò davanti a Riccardo ed accettò di sottomettersi al suo giudizio. Il giorno seguente i due contendenti richiesero l’arbitrato dei re e dell’esercito crociato. Il 28 Riccardo e Filippo resero nota la loro decisione, che consisteva in un compromesso. Guido poteva avere il regno finché era in vita, ma i suoi figli non avrebbero goduto di alcun diritto di successione; dopo la sua morte, Isabella e C. avrebbero ereditato il trono. Nel frattempo tutte le rendite reali dovevano essere divise fra i rivali; al fratello di Guido, Goffredo, sarebbe toccato il vecchio appannaggio reale di Giaffa e Ascalona, e, seguendo il precedente dell’anno prima, fu stabilita una nuova contea per C., costituita da Tiro, Sidone e Beirut. Nel caso che Guido, C. e Isabella morissero tutti quando Riccardo si trovava ancora in Oriente, Riccardo avrebbe disposto del regno a suo piacimento. Il giorno seguente, prima di rientrare in patria, passando per Tiro, Filippo consegnò a C. la sua metà di San Giovanni d’Acri, contro i desideri di Riccardo.

Riccardo, rimasto in Palestina, si affrettò a consegnare a Guido i territori da lui conquistati. C., pur avendo rinunciato, sembra, a farsi designare come re eletto, tentò con i suoi sostenitori di sabotare la campagna di Riccardo, mentre nello stesso tempo trattava direttamente coi Musulmani, nella speranza di negoziare il possesso personale di territori che non sarebbero stati inclusi nel diritto di conquista di Riccardo. Perciò si rifiutò di aiutare Riccardo e messosi in contatto con i Musulmani nell’estate del 1191, l’inverno successivo entrò in trattative dirette coi Saladino. Corsero voci che i negoziati vertessero non solo sulla stipulazione di un trattato che garantisse la sua contea, ma che egli stesse anche tentando di ottenere dal Saladino una concessione su metà della città e del regno di Gerusalemme. Sembra che egli avesse offerto ai Musulmani un’alleanza, per cui egli avrebbe dichiarato guerra aperta a Riccardo ed ai suoi oppositori politici; C. venne assassinato appena prima della ratifica del trattato fra lui e il Saladino. Frattanto, nel febbraio dell’anno 1192, i Genovesi ed i Francesi avevano tentato di impossessarsi in suo nome di San Giovanni d’Acri. C. accorse da Tiro, ma i Pisani salvarono la città fino al ritorno di Riccardo. Dopo un frustrante incontro in cui C. rifiutò nuovamente di aiutare la crociata, Riccardo presiedette un’assemblea dell’esercito che privò C. delle sue rendite. Ma era impossibile far rispettare questa decisione. Sapendo di dover rientrare presto in Europa, Riccardo convocò una seconda assemblea dell’esercito il 13 apr. 1192 circa; quest’assemblea, considerando che Guido non era stato in grado di rientrare in possesso della sua parte di regno e che C. era più capace di lui, persuase Riccardo ad acconsentire a proclamare re Corrado.

La notizia ufficiale giunse a C. qualche giorno dopo il 21 aprile, ma il 28, mentre rientrava attraverso Tiro dopo una cena nella dimora dell’arcivescovo di Beauvois, cadde in un’imboscata e fu mortalmente ferito da due assassini ismaeliti: sembra che uno di essi (se non tutti e due) fossero stati in precedenza al servizio di C., fingendosi servi cristiani. Ma le fonti non sono unanimi nel designare il responsabile dell’assassinio di Corrado. Ovviamente gli ordini partirono dal capo degli ismaeliti siriani, ma come responsabili vennero anche indicati Umberto di Toron, Guido di Lusignano, il Saladino e Riccardo di Inghilterra, che fu fatto prigioniero, durante il suo rientro in patria, dal cugino di C., Leopoldo d’Austria, proprio per questa ragione. Recentemente alcuni autori hanno indicato come responsabile il conte Enrico di Champagne. Ma in realtà appare impossibile giungere alla verità. L’influenza di C. nella storia dell’Oriente latino non ebbe comunque termine con la sua morte. Quando egli morì, Isabella era incinta di sua figlia Maria la quale avrebbe a sua volta ereditato il Regno di Gerusalemme.