Guglielmo V

a cura di ALDO A. SETTIA


Scheda pubblicata in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LX, Roma 2003.
La presente scheda è stata inserita grazie alla autorizzazione rilasciata dall’ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA fondata da Giovanni Treccani [Prot. 495/04/DE del 19 novembre 2004] che si ringrazia per la disponibilità.


Talora indicato anche come G. III o G. IV fu l’unico figlio maschio di Ranieri, marchese di Monferrato, e di Gisla (o Gisella) figlia di Guglielmo di Borgogna e sorella di Guido, poi papa Callisto II. Costei era stata moglie in prime nozze del conte Umberto II di Savoia dal quale aveva avuto Amedeo e Adelaide: G. era quindi fratello uterino del conte di Savoia Amedeo III e poiché Adelaide sposò il re di Francia Luigi VI, fu anche cognato di quest’ultimo. Si presume che G. sia nato poco dopo il 1110: doveva infatti aver raggiunto la maggiore età prima del 28 marzo 1133, quando compare accanto ai genitori in una donazione di terre in favore dell’abbazia di S. Maria di Lucedio.

Sempre prima di tale data aveva sposato “lulitta filia Lupaldi “, cioè dì Leopoldo III di Babenberg duca d’Austria, sorella di Corrado III re dei Romani e di Federico di Svevia, padre dell’imperatore Federico I, del quale perciò G. fu zio. Per nascita e per matrimonio egli era dunque strettamente imparentato con i più potenti regnanti dell’Europa Occidentale. Dal matrimonio nacquero cinque maschi: Guglielmo (detto Lungaspada), Corrado, Bonifacio, Federico e Ranieri, tutti ancora pueri nel 1164; e 4 le femmine Agnese, Alasia e una terza di cui non è noto il nome.

Il padre morì poco dopo il gennaio 1135, lasciando a G. la successione nel Marchesato. Subito, a quanto pare, egli si inimicò il ramo della famiglia detto dei figli di Ardízzone che, in opposizione a lui, il 24 maggio di quell’anno fece omaggio delle sue terre al Comune di Asti: esse erano state concesse al marchese Ranieri dall’imperatore Enrico V, concessione ripetuta da Corrado III nel 1152 e da Federico I nel 1178.

Fra il 1141 e il 1147 G. confermò, in quanto alto signore, alcune donazioni di terre fatte da suoi vassalli a enti religiosi, ma nell’aprile dei 1144 una lettera dell’arcivescovo di Milano rivela che egli, in accordo con il cardinale Goizone, era fra i sostenitori dei canonici di S. Ambrogio nella lite con i monaci, segno che sin d’allora perseguiva obiettivi politici di gran lunga trascendenti gli interessi di un piccolo signore locale.

Il 7 giugno 1147 nel castello di Lu dispose una donazione in favore della canonica di S. Albino di Mortara; solo dopo questa data, dunque, avvenne la sua partenza per la seconda crociata al seguito dei re di Francia Luigi VII, accompagnato da uomini del suo Marchesato. Raccoltisi a Metz i crociati francesi raggiunsero Worms e qui si divisero in due contingenti, uno dei quali fu poi affidato al comando di G. e del fratello Amedeo di Savoia; essi si avviarono verso Costantinopoli attraverso l’Austria e l’Ungheria seguendo i Tedeschi di Corrado III.

In seguito anche G. e Amedeo passarono ai suoi ordini e, mentre i Francesi proseguivano la loro marcia, essi tornarono a Costantinopolì dove, ben accolti dall’imperatore Manuele Comneno, trascorsero l’inverno raggiungendo poi per mare Acri e Gerusalemme. Il 24 giugno nell’assemblea generale dei crociati a Tolemaide, in cui si decise di attaccare Damasco, e segnalata anche la presenza dì G., che dovette partecipare all’assedio della città benché le fonti non lo menzionino esplicitamente. Dopo l’insuccesso della crociata, G. si imbarcò in settembre ad Acri e approdò, con Corrado III, a Tessalonica dove entrambi vennero invitati a trascorrere un altro inverno a Costantinopoli ospiti, ancora una volta, del Comneno. In tale occasione fra questo e G. si stabilì una duratura amicizia.
Nella primavera seguente i due salparono da Durazzo giungendo il 1° maggio 1149 ad Aquileia e l’8 G. fu a Gemona del Friuli, all’emissione di un diploma concesso da Corrado III. Nei mesi seguenti fu prima a Susa, teste a una donazione dei conte di Savoia in favore dei monastero di Lucedio quindi, nel giugno del 1150, giurò la Compagna di Genova promettendo di partecipare all’esercito con io cavalieri, e ai Parlamenti quando fosse stato presente in città. In uno di questi, tenuto nella chiesa di S. Lorenzo, si dichiarò soddisfatto, per la somma di 500 lire e la concessione di una casa in città, di quanto il Comune gli doveva in seguito ai servizi prestati dal padre, appianando nel contempo le controversie con esso pendenti per il castello di Parodi. Secondo il cronista Ottone Morena nel 1153 G. avrebbe portato in Germania a Federico I, da poco eletto imperatore, le proteste dei Lodigìani oppressi dai Milanesi, notizia plausibile ma non confermata da altre fonti. Dopo essere stato battuto, il 2 sett. 1154, in battaglia dagli Astigiani, egli, insieme con il vescovo di Asti – fra il 30 novembre e il 6 dicembre – presentò a Federico I, alla Dieta di Roncaglia, le sue querele contro quel Comune.

Nel gennaio del 1155 era al seguito dell’imperatore a Casale e a Rivarolo Canavese, e infine ad Asti, giacché la città – secondo Ottone Morena – sarebbe stata affidata al governo di G., dopo la punizione subita. Dal 4 febbraio al 20 aprile partecipò all’assedio e alla distruzione di Tortona ed era ancora ivi presente in maggio quando i Pavesi affrontarono i Milanesi venuti a ricostruire la città.
Lo ritroviamo nelle sue terre il 1° sett. 1155 quando ricevette dal vescovo di Vercelli l’investitura di Trino; in esse si fermò sino all’anno successivo confermando il 12 aprile beni e privilegi della chiesa di S. Maria di Crea e il 4 maggio quelli del monastero di S. Vittore di Grazzano; ma già il 17 giugno era presente a un diploma dato da Federico I a Würzburg, ricevendo da lui in quello stesso giorno la conferma dell’investitura di Trino. Il 13 giugno dell’anno dopo partecipò, con i Pavesi, alla difesa di Vigevano: qui fu catturato dai Milanesi, ma liberato in tempo perché potesse essere ai primi di novembre nuovamente presso l’imperatore a Dôle, in Borgogna.

Fra aprile e giugno del 1158 fu occupato a Moncalvo, a Caselette e a Gassino Torinese in atti amministrativi con i suoi sudditi, presto richiamato però da quanto accadeva in Lombardia: il 1° settembre fu fra coloro che accolsero gli ostaggi del Comune di Milano dopo la sua prima capitolazione davanti all’imperatore, il quale l’8 di quel mese, in un diploma indirizzato ai conti di Biandrate, lo menziona come pari di curia dei vescovo di Torino. Doveva essere presente (anche se non nominato dalla fonte) a Occimiano il 2 febbr. 1159; subito dopo Federico I designò come basi militarmente sicure gli inespugnabili luoghi monferrini di Verrua, Serralunga e Lu, scelta che non poteva avvenire senza il gradimento di G.; in giugno era di nuovo a Lodi accanto all’imperatore.
Seppe certo destreggiarsi abilmente fra i due sommi poteri poiché, pur risultando compreso tra coloro che furono scomunicati il 12 marzo 1160 dal legato di Alessandro III (Gesta Federici, p. 40), appare in buoni rapporti con il papa che, nell’aprile successivo, prese sotto il suo patrocinio l’ospedale di Felizzano da lui fondato. Il 9 ag. 1160 partecipò con Federico alla battaglia di Carcano e il 26 in Pavia promise con altri signori lombardi di fornire uomini a presidio della città sino alla successiva Pasqua. Fu coinvolto nelle operazioni contro Milano presenziando a diplomi emessi da Federico I il 30 maggio 1161 o “ante portas Medyolanensis civitatis tempore vastationis” e, quindi, il 1° settembre a Landriano; in ottobre presidiò per suo ordine il castello di Mombrione presso S. Colombano al Lambro. Era sempre con lui a Lodi nel gennaio e febbraio 1162, poi da aprile a giugno in Pavia dopo la distruzione di Milano, seguendolo in agosto a Torino e in settembre a Saint-Jean de Losne in Borgogna.
Tornò a occuparsi delle sue terre, con acquisti di nuovi possessi e l’investitura di vassalli, da giugno a settembre dell’anno successivo, in Ciriè e in Torino. Ottenne da Alessandro III di dare all’abbazia di Fruttuaria la chiesa di S. Maria di Gamondio ricevendo in cambio S. Maria della Rocca dove intendeva fondare un suo monastero. Era nuovamente alla corte di Federico a Monza il 6 dic. 1163 e poi in agosto e in settembre del 1164 a Pavia; il 5 ottobre successivo a Belforte, presso Como, per gli ottimi servizi resi all’imperatore, ottenne da lui tre diversi diplomi con i quali ricevette in dono e in conferma le località ivi singolarmente nominate, che costituivano in quel momento il suo dominio. Nel ripartire, subito dopo, per la Germania, l’imperatore affidò alla sua custodia il figlio primogenito Federico.
É databile fra 1164 e 1169 una lettera di G. a Luigi VII di Francia con la quale si scusa di non avergli ancora inviato un suo messo in attesa che altri messaggeri tornino da Costantinopoli e dalla Germania; a sua volta una lettera di Giovanni di Salisbury ci informa che, in luglio o in agosto 1166, inviati di G. richiesero in sposa al re d’Inghilterra Enrico II una figlia per uno dei suoi figli promettendo in cambio di adoperarsi presso il papa per la deposizione di Thomas Becket; tale tentativo rimase senza effetto, ma le due lettere rivelano l’ampiezza delle relazioni e le ambizioni coltivate da Guglielmo.

Il 28 genn. 1167 era nuovamente con Federico a Parma. Tornato nel Marchesato, il 20 febbraio fece una donazione al nuovo monastero di S. Maria della Rocca e seguì poi Federico I nella spedizione romana; il 26 settembre era di ritorno in Pavia e partecipava alle scorrerie contro i territori di Milano e Piacenza, che nel frattempo avevano aderito alla Lega lombarda. Quando, nel marzo del 1168, anche Como fu costretta a fame parte, dovette promettere, fra l’altro, che non avrebbe firmato in alcun modo la pace con Guglielmo. I Comuni della Lega lo stringevano ormai da vicino: egli dovette infatti venire a patti il 26 marzo 1170 con Vercelli, e la stessa Pavia fu indotta a schierarsi contro di lui; nel maggio 1171 accettò di restituire a Genova il castello di Parodi e in novembre dovette cedere anche di fronte a Ivrea; il 19 giugno seguente la Lega lo sconfisse nel suo stesso territorio presso Mombello Monferrato costringendolo a giurare obbedienza e ad accettare poco dopo anche le condizioni impostegli dagli Astigiani.

Dall’ottobre 1174 all’aprile dell’anno dopo, appena Federico I fece ritorno in Italia, partecipò con lui al fallito assedio di Alessandria e poi alle trattative con la Lega, presso Montebello, nel territorio di Pavia. Presenziò ancora a diplomi emessi dall’imperatore in questa città il 21 ag. 1175 e il 29 luglio 1176 dopo la sconfitta di Legnano, in cui G. non fu direttamente coinvolto. Il 27 agosto promise assistenza ai Genovesi anche Oltremare, salvo che nel comitato di Giaffa di cui stava per essere investito il suo primogenito Guglielmo Lungaspada.
Ritroviamo G. al seguito dell’imperatore con il secondogenito Corrado nel gennaio 1178 ad Asciano nel contado di Siena, a Pisa, a Pavia e a Torino; il 14 luglio era a Briançon dove si fece confermare i diplomi degli imperatori Enrico V e Corrado III circa i beni degli Ardizzoni. È questa l’ultima volta in cui è attestata la presenza di G. accanto a Federico I: successivamente egli tentò, insieme con gli irrequieti figli, di seguire una politica propria che lo portò a urtarsi direttamente con gli interessi dello Svevo. Già il 13 giugno 1178, in piena autonomia, aveva preso accordi con gli Alessandrini mentre si facevano pìù stretti i rapporti da tempo intrattenuti con l’imperatore d’Oriente Manuele Comneno divenuto allora diretto antagonista dei Barbarossa in Italia.

Nell’autunno 1179 Ranieri, figlio minore di G., fu chiamato a Costantinopoli dove l’anno dopo sposò Maria, figlia di Manuele; l’altro suo figlio Corrado (non senza il consenso di G.) giunse nel settembre 1179 a imprigionare il cancelliere imperiale Cristiano di Magonza, liberato poi dietro riscatto. Il grave atto di ribellione risultava già ufficialmente perdonato da Federico l’8 ag. 1182 allorché G. e i suoi figli promettevano ai Vercellesi di raccomandarli alla sua buona grazia; ma da allora lo stretto rapporto fiduciario che per decenni G. aveva intrattenuto con Federico I appare compromesso per sempre: i Monferrato nel 1183 vennero infatti dei tutto ignorati nella pace di Costanza e nei patti che l’imperatore strinse con Alessandria.
Da quell’anno, peraltro, il governo de Marchesato risulta ormai affidato ai figli Corrado e Bonifacio e vi è motivo di credere che G. avesse preso la croce e attendesse, vivendo privatamente, il momento propizio per affrontare il viaggio verso la Palestina dove intendeva recare assistenza al nipotino Baldovino V, figlio di Guglielmo Lungaspada, incoronato re di Gerusalemme appunto nel novembre del 1183. Benché ciò non sia direttamente documentato, è possibile che G. abbia ancora incontrato Federico I, essendo entrambi presenti in Pavia nel settembre 1184 e nel febbraio 1186. La partenza di G. avvenne certamente dopo il 22 maggio di quell’anno, giorno in cui ricevette la fedeltà degli uomini di Felizzano, e giunse ìn Terrasanta prima dell’agosto poiché trovò ancora in vita il piccolo Baldovino che morì in settembre. Nel luglio dei 1187 G. partecipò alla battaglia di Hattin rimanendo prigioniero del Saladíno vincitore e fu poi riscattato dal figlio Corrado dopo l’epica difesa di Tiro, ultimo bastione del Regno cristiano in Oltremare.
Corrado nei diplomi da lui emessi come signore di Tiro si definisce nel maggio 1191 per l’ultima volta “filius marchionis Montisferrati”, e G. viene indicato per la prima volta come quondam nel dicembre dì quell’anno: egli morì dunque a Tiro probabilmente nell’estate dei 1191.

Secondo l’elogio fattogli da Ottone di Frisinga, G., definito uomo nobile e grande, fu quasi l’unico fra i principi d’Italia a sfuggire al dominio delle città. Può essere considerato il vero organizzatore del Marchesato di Monferrato come realtà territoriale e signorile, in contrapposizione alla crescente potenza dei Comuni cittadini di Genova, Asti e Vercelli (cui si aggiunse ben presto Alessandria) che lo circondavano da ogni parte. Ne accrebbe il territorio acquistando nuovi diritti ora con denaro (nel 1153 Rocca Canavese e Rivara) nel 1163 Leinì e Brandizzo, nel 1165 Mombercelli, Malamorte e Vigliano d’Asti, nel 1175 Castelnuovo, oggi Don Bosco), ora ottenendo in feudo nel 1155 dal vescovo di Vercelli il cospicuo borgo di Trino e il castello di Castruzzone all’imbocco della valle d’Aosta, ora operando “callide et fraudolenter” (come nel 1166 osserva allarmato l’autore degli Annali genovesi) con l’appoggio del nipote imperatore. Giovandosi delle alte parentele e delle relazioni con i re di Francia e d’Inghilterra e soprattutto con l’imperatore di Costantinopoli rese possibile e incoraggiò le imprese dei figli in Oriente che diedero alla sua casata, se non un durevole potere, certo alto prestigio e unanimi riconoscimenti, mentre il Marchesato paterno subiva i colpi della Lega lombarda.
Abbiamo di lui un ritratto fisico e morale di gusto svetoniano lasciatoci nel 1163 da Acerbo Morena: di statura mediocre ma robusto e prestante, la faccia rotonda e di carnagione rossiccia, i capelli quasi bianchi; dotato di buona capacità oratoria, valoroso e saggio, allegro e piacevole, generoso pur senza essere prodigo. Tale descrizione coincide in parte con quanto affermano alcune testimonianze registrate nel 1220: rispetto al suo vassallo Guglielmo Asdente, indicato come “magnus et pinguis et albus coloris, bonus et octimus miles “, G. era ” illud idem preter quod non erat ita pinguis sed magis rubei coloris “. Il soprannome storiografico di Vecchio non deriva tuttavia dall’aspetto fisico o dal carattere: “Willelmus senior” lo chiamano Guglielmo di Tiro e Ottobono Scriba solo per distinguerlo dall’omonimo figlio detto in Oriente Lungaspada, mentre l’altro figlio Corrado veniva indicato nel 1178 come “marchio Montisferrati iunior” rispetto a G. “marchio maior Montisferrati “.


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