Guglielmo VI

a cura di ALDO A. SETTIA


Scheda pubblicata in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LX, Roma 2003.
La presente scheda è stata inserita grazie alla autorizzazione rilasciata dall’ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA fondata da Giovanni Treccani [Prot. 495/04/DE del 19 novembre 2004] che si ringrazia per la disponibilità.


Talora indicato anche come Guglielmo V, unico figlio maschio del marchese di Monferrato Bonifacio I e di una donna della famiglia dei marchesi dei Bosco, verisimilmente nacque intorno al 1173.

Era certo già adulto il 18 giugno 1191, allorché partecipò con il padre al vittorioso scontro di Montiglio contro gli Astigiani; il 19 luglio dello stesso anno sottoscrisse a Breme, con il padre, una lega con Cremona e con altri Comuni di parte imperiale. Tra il 1193 e il 1199 compare in molti atti pubblici sempre insieme con il genitore. Il 12 giugno 1199, negli accordi stabiliti con il Comune di Acqui, si conveniva che G., sostituendo il padre, sarebbe stato in città con 20 cavalieri per combattere contro gli Alessandrini e il 27 ottobre era presente presso Saluggia nei patti stipulati con il Comune di Vercelli.

Il suo matrimonio con Elena del Bosco va datato al più tardi al 1201, poiché nel luglio 1202 era già nato il figlio Bonifacio (Savio, p. 112).

Il 9 ag. 1202 a Pavia il padre, ormai in partenza per la crociata, promise di rispettare le tregue stabilite da G. con Alessandria e Asti e gli obblighi da lui assunti per la dìfesa delle sue terre, lasciando così a G. il pieno governo del Marchesato.

Questo era oppresso da vicino dalla crescente potenza dei Comuni cittadini contermini e gravato dai debiti contratti da Bonifacio. L’avversano più duro era il Comune di Asti con il quale era orinai da anni in discussione il possesso del comitato di Loreto, con Castagnole Lanze e altri luoghi. li 21 ag. 1203 G., a nome suo e dei padre, cedendo parte dei diritti che, per concessione imperiale, i marchesi vantavano su Alessandria, si accordò con questo Comune, con Alba e con altri marchesi aleramici contro Asti, sostenuta da Milano, Piacenza e Pavia. Nel giugno 1204 i collegati costrinsero G. a chiedere una tregua fino a settembre, ma la guerra riprese in autunno e proseguì l’anno dopo.
La perdurante alleanza di G. con gli Alessandrini è provata dall’esenzione dal pedaggio di Felizzano loro concessa il 9 marzo 1205; avvisaglie di cedimento del fronte marchionale si manifestarono però all’inizio del 1206: il 4 gennaio Manfredo Lancia, con il consenso di G. (che continuava ad agire anche a nome del padre assente), vendette al Comune di Asti Castagnole e le sue pertinenze del comitato di Loreto. Alla fine di aprile lo stesso G. ammise ufficialmente la sconfitta benché le condizioni da lui sottoscritte non apparissero umilianti. Nel corso dei successivi mesi di maggio e di giugno il trattato veniva accettato anche dagli alleati di G., il quale, il 5 maggio, prometteva di far confermare al padre gli accordi raggiunti entro un mese dal suo ritorno in Monferrato, ritomo che fu però impedito dalla morte. Entro l’ottava di S. Martino Uberto Grasso di Cocconato, procuratore di G., dichiarava che tutti i pagamenti promessi da Asti erano avvenuti: i marchesi di Monferrato rinunciavano così ad affermare, da allora in poi, ogni loro supremazia accettando di fatto quella dei Comuni cittadini. Nello stesso anno dovettero intervenire accomodamenti anche con Pavia.

Intanto, mettendo da parte le tradizioni filosveve della famiglia, G. si accostò all’aspirante imperatore Ottone di Brunswick incontrandolo, dal 13 al 23 ag. 1209, sul lago di Garda. Quando, nel marzo dei 1210, Ottone IV ritornò da Roma G. lo accompagnò da Imola a Ferrara ed era ancora in rapporto con lui il 1° maggio mentre era a capo di un esercito ” dei marchesi ” che distrusse Cuneo. Da fine maggio sino al 20 giugno fu con il seguito di Ottone a Vercelli e poi a Torino, Alba e Tortona, ma probabilmente senza ottenere da lui le soddisfazioni che si aspettava.

Nel gennaio 1211 i Vercellesi provocarono un nuovo motivo di contesa tentando di insediarsi sulla destra del Po con l’acquisto di diritti dai signori di Visterno e Cavagnolo: G. protesto per la violazione e occupò militarmente i due luoghi. Il 12 giugno ricevette la dedizione dei marchesi di Incisa cui concesse in feudo le loro terre. In quello stesso anno, rimasto vedovo, sposò Berta di Ciavesana dalla quale nacque in seguito la figlia Beatrice.

Nel gennaio 1212 G. era di nuovo presso Ottone IV e il 24 partecipava alla Dieta nel palazzo vescovile di Lodi; ma, poco dopo, lasciò senza risposta il legato imperiale che gli ordinava di restituire Cavagnolo ai Vercellesi poiché era ormai volto verso la candidatura imperiale di Federico II caldeggiata da Innocenzo III. Il 14 luglio 1212, con altri partigiani dello Svevo, accolse Federico a Genova e lo guidò attraverso le sue terre fino ad Asti e quindi a Pavia, consentendogli così di proseguire verso la Germania. Contemporaneamente cercò un collegamento con i Casalesi contro il vicino Comune rurale di Paciliano alleato dei Vercellesi.

Fra 1213 e 1214 si impadronì di Trino che diede in feudo agli Avogadro di Vercelli. L’8 Ott. 1214, per intervento dei vescovo di Vercelli, si avviarono contatti con questo Comune che portarono il 15 novembre a un trattato di pace. Segretamente però il 20 giugno 1215 Vercelli si accordò coi conte di Savoia riservandosi come ambìto di espansione il Canavese e l’intero Monferrato; il 26 luglio, poi, Milanesi e Vercellesi distrussero Casale Monferrato senza che G. si opponesse, atteggiamento che fu assai lesivo del suo prestigio.

Dall’11 al 30 nov. 1215 G. fu presente al concilio Lateranense dove intervenne in difesa di Federico contro Ottone, cui Milano, Vercelli e altri Comuni rimasero invece a lungo fedeli. Nel dicembre 1216 raggiunse la corte di Federico a Norimberga, poi a Wimpfen e a Ulma: di qui, nell’aprile 1217, fu inviato a Roma presso il papa con l’abate di S. Gallo, il decano di Spira e il castellano di San Miniato.

Doveva già essere tornato nelle sue terre il 10 maggio quando si concluse a Campomorto la pace fra Milano e i suoi antagonisti di parte sveva, fra cui G., ma con strascichi che si prolungarono nei mesi successivi tanto che nell’ottobre Alessandria e Vercelli – patteggiando segretamente fra loro – prevedevano di dividersi le terre del Marchesato. Ancora presente a San Salvatore Monferrato l’8 nov. 1217, dai primi del gennaio 1218 egli era di nuovo a Wimpfen presso Federico II che nel maggio gli affidò la missione di accompagnare in Italia il vescovo di Torino Giacomo di Carisio nominato vicario imperiale. Di data incerta, ma anteriore al 1219, fu la pace intervenuta tra G. e Alessandria con la mediazione del podestà d Alba. Dal 10 febbr. 1219 G. era di nuovo a Spira presso Federico dal quale il 21 del mese ottenne un diploma di conferma dei diritti su Paciliano, Torcello e Coniolo col relativo ponte sul Po, in opposizione ai Vercellesi i quali tuttavia continuarono a rifiutare l’omaggio a Federico. G. partecipò alle Diete di Spira e di Hagenau e qui il 4 settembre impetrò dall’imperatore l’assoluzione per Asti.
Ritornato nelle sue terre, il 15 novembre ricevette la promessa di Guigo Andrea, delfino di Vienne (Savio, p. 109), di sposare sua figlia Beatrice, alla quale G. assegnò in dote i diritti rivendicati su Briançon. Il 20 ag. 1220 una sentenza dei podestà di Alba appianava le divergenze insorte con il Comune di Alessandria; in ottobre G. raggiungeva di nuovo, a Faenza, la corte di Federico in viaggio per Roma dove il 22 novembre assisteva all’incoronazione e nei mesi seguenti all’emanazione di numerosi diplomi. In dicembre fu nominato vicario imperiale nel Regno di Arles, incarico per il quale il 13 dicembre ottenne da Onorio III lettere Commendatizie dirette ai prelati e ai vescovi di quel Regno; gli avvenimenti di Lombardia gli impedirono tuttavia di affrontare il vìaggio. Il 28 genn. 1221 confermò l’investitura di Dogliani,al marchese di Saluzzo mentre si rinnovava la tensione con il Comune di Vercelli, sempre appoggiato da Milano, cosicché in febbraio G , tentò inutilmente di far valere i diritti avuti dall’imperatore su Torcello e Coniolo.
I suoi pensieri si erano ìntanto orientati verso l’impegno della crociata: sin da quando, il 4 sett. 1207, il padre Bonifacio era caduto in Tessaglia, i trovatori (di cui questi era stato un grande protettore) avevano sollecitato G. a vendicare il genitore e affrontare a sua volta la crociata. li primo era stato forse Elia Cairel nel 1208, e poi l’invito era stato più volte retterato da Almeric de Peguilhan, Taurel, Falconet e Peirol, i cui numerosi componimenti, non sempre facilmente databili, scadono talora nel vero e proprio insulto contro l’inerzia di G. nei confronti della difficile impresa. Il Regno aleramico di Tessalonica, retto dal giovane fratello Demetrio, era da tempo in crisi e abbisognava di soccorsi urgenti di cui G., da solo, non avrebbe mai potuto disporre; a partire dal 1216 la sorte dei Regno venne presa a cuore da papa Onorio III che era però anche occupato a organizzare una spedizione in aiuto dei crociati in Egitto, che G. accettò di guidare.
Proprio allora Demetrio venne in Italia in cerca di aiuto rivolgendosi direttamente al papa: fu così deciso che la spedizione si sarebbe diretta non più in Egitto ma nel Regno di Tessalonica. La partenza dovette però essere più volte rimandata per raccogliere uomini e mezzi e per le minacce che continuavano a pesare sul Marchesato. Tra febbraio e aprile 1221 G. si dichiarò pronto a partire appena raggiunto un accordo con i suoi nemici; in ottobre assisté alla promessa di Novara di partecipare alla crociata con tre cavalieri per un anno; ma non pote assistere alle analoghe promesse dei Vercellesi e Milanesi che evidentemente conservavano un atteggiamento ostile nei suoi confronti.
Intanto era impegnato in contatti con i Comuni di Ivrea, il 14 nov. 1221, e di Alba, il 21 dicembre; l’anno dopo chiese ad Alessandria 10 cavalieri per essere accompagnato presso l’imperatore a Verona, ma ricevette risposte evasive con allusione a suoi debiti non soddisfatti. Dal febbraio 1223 lo troviamo nondimeno accanto a Federico a Capua, Ferentino e Sora; in aprile, all’assedio di Celano, ottenne da lui un diploma che gli concedeva quanto spettava all’Impero in Alessandria, Pecetto di Valenza, Castelletto d’Orba e in altri luoghi. li 18 settembre. col fratello Demetrio, rinnovò l’investitura al marchese di Saluzzo per Dogliani e l’11 ottobre nel monastero di Fruttuaria il figlio Bonifacio prometteva solennemente che avrebbe indotto il padre, ivi presente, a partire per la crociata entro il giugno successivo oppure a restituire le somme che gli erano state anticipate dalla S. Sede. Queste erano evidentemente insufficienti poiché nel marzo del 1224 G. compì un nuovo viaggio sino a Catania, dove si trovava la corte imperiale, ed ebbe in prestito da Federico 9000 marchi d’argento lasciando in pegno tutte le terre e i diritti del Marchesato di cui si stese un completo elenco.

Tornato in Monferrato, G. fu occupato in atti di ordinaria amministrazione almeno sino al 14 ag. 1225; solo dopo tale data la spedizione si mise faticosamente in moto per concentrarsi a Brindisi; ma al momento di salpare G. si ammalò e la partenza fu bloccata sino alla primavera del 1226.

Non conosciamo la natura della sua infermità, ma essa doveva affliggerlo già da tempo poiché in seguito il figlio confermò provvedimenti da lui presi nella malattia per la quale poi morì. Il ritardo risultò fatale all’impresa, nonostante l’assiduo interessamento del papa, il quale non cessò di sollecitare i Veneziani e gli altri occidentali che avevano interessi in Grecia.

Le fonti non hanno tramandato nei dettagli l’andamento della spedizione che si rivelò comunque fallimentare: G. morì, non sappiamo dove e in che occasione, e l’esercito, falcidiato da un’epidemia, si sciolse senza poter raggiungere Salonicco.

La morte di G. fu registrata nel Necrologio di S. Evasio di Casale sotto la data del 17 settembre e, in modo più incerto, anche nel Necrologio di S. Maria di Lucedio dove egli è indicato come ” familiare ” di quel monastero: non si conosce il luogo della sua sepoltura. Il fratello Demetrio e il figlio Bonifacio, che lo accompagnavano nell’infelice impresa, riuscirono a tornare in Italia e da allora in poi i marchesi di Monferrato cessarono per sempre di sognare gloriose imprese in terra d’Oriente.
L’interessamento di G. per le fondazioni religíose, tradizionale nella sua casa, è testimoniato dal 1202 quando, con il padre, donò alla certosa di S. Benedetto di Losa una cospicua somma da prelevare sul pedaggio di Chivasso sino al ritorno dal “pellegrinaggio transmarino ” che Bonifacio era allora in procinto di affrontare. Altre concessioni G. fece allo stesso ente il 13 sett. 1206; ripetute furono le sue relazioni con il monastero familiare di S. Maria di Rocca delle Donne (1206, 1211, 1224), con S. Maria di Crea (1223), con S. Maria di Brione e con la prevostura di Rivalta Torinese. Ancor più accentuato l’interessamento nei confronti dei cistercensi di S. Maria di Lucedio, monastero destinato a divenire il sepolcreto della dinastia, e per altre fondazioni dello stesso Ordine, sia legate a Lucedio, come la Barona di Pavia, sia indipendenti come le abbazie milanesi di Chiaravalle e di Morimondo.


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