Guglielmo I

a cura di GIANCARLO PATRUCCO

Ci rivela il Panegyricus Berengarii imperatoris che un certo Guglielmo scende dalla Francia in Italia, tra il 888 e il 889, al seguito del marchese Guido di Spoleto, “amicos ter centum”.

Molti hanno tentato un accostamento tra questo Guglielmo e quello citato come padre di Aleramo (vedi la scheda corrispondente)  nella donazione che questi fece all’abbazia di Grazzano nel 961.  Altri hanno avanzato dubbi perché una prova provata non c’è, però col tempo la tesi ha finito per essere universalmente accettata sulla base delle corrispondenze di alcune date e dell’approfondimento delle ricerche relative al complesso passaggio avvenuto nell’impero franco proprio in quel periodo, con particolare riguardo alla posizione della famiglia aleramica.

E cominciamo dunque da qui.

L’accurato studio di Regine Le Jan sui rapporti tra famiglia e potere all’interno del mondo franco ci fornisce qualche pregevole indizio sulla zona di origine della famiglia. Fa osservare, la Le Jan, che l’ingrandimento del regno, fino ad arrivare al grande impero di Carlomagno e anche dopo, imponeva ai Carolingi di presidiare i territori di nuova acquisizione con il trasferimento e il radicamento di famiglie a loro fedeli, accasandole su terre pubbliche.

Con una complessa indagine sulla trasmissione onomastica, la Le Jan riesce a identificare non soltanto le famiglie, ma anche la zona di provenienza di molte di loro: un triangolo tra Mannheim, Worms e Lorsch, nel Medio Reno, oggi tedesco ma ai tempi cui ci riferiamo posto al limite orientale del territorio austrasiano. Probabilmente, lì stanno le radici degli Aleramici, ma anche quelle dei Robertingi da cui si dipanò poi la successione fra i Carolingi e la “terza linea di Francia”, quella dei Capetingi. Molti indizi, anche documentali, convergono a dimostrare un’affinità parentale fra Aleramici e Capetingi, pur se nessuno è mai stato in grado di dimostrare attraverso quali specifiche figure.

Ma perché Guglielmo si è trasferito in Italia? Che rapporti aveva con Guido di Spoleto? Qui la questione si fa davvero complessa e dovremo seguirla con molta attenzione.

La prima menzione di un radicamento della famiglia aleramica (o almeno di una parte di essa) nel nuovo ordine imperiale compare nel Cartolario dell’abbazia di Montieramey dell’anno 837. Essa riguarda un Aleramo conte di Troyes, ultimo lembo settentrionale della Borgogna, accanto alla Contea di Brienne, prima che avvenga la riorganizzazione territoriale che porterà alla nascita della Champagne. Questo Aleramo è un eroe. Fidelis di Ludovico il Pio e, alla sua morte, di Carlo il Calvo, è lui ad essere incaricato di sedare la rivolta di Bernardo di Septimania, riuscendo nell’impresa ma perdendoci la vita, come è avvenuto ad altri suoi fratelli prima di lui. Quanto agli eredi, nulla si sa, tanto da accreditare la troppo facile conclusione che non abbia lasciato figli, almeno maschi, dietro di sé.

Ma altri due documenti richiamano la nostra attenzione:

il primo tratta di un giudizio che Carlomagno è chiamato a dare nel 775, a proposito di un monastero conteso tra la grande abbazia di saint Denis e il vescovo di Parigi. Nel testo compare un “Adelramno de parte sanctii dionisii”, senz’altra qualifica;

il secondo riguarda l’intervento di un Aleramo, in qualità di conte palatino, quale componente il tribunale reale in una causa tra l’abbazia di saint Denis e un certo Angalvino.

Il primo atto è del 775, il secondo del 868. Supponendo che questi due Aleramo facciano parte della famiglia di Troyes, questo loro coinvolgimento negli affari dell’abbazia di saint Denis ci fa supporre non uno, bensì due luoghi di radicamento aleramico.

Questo di saint Denis assume poi un rilievo particolare nel contesto delle vicende che accadono in Francia durante la seconda metà del IX secolo. E’ il 885 quando, dopo aver compiuto numerose scorrerie lungo le coste e condotto sanguinose razzie verso l’interno, approfittando delle chiglie quasi piatte dei loro drakkar per risalire i fiumi, i Normanni  si presentano davanti all’estuario della Senna con una flotta che mai si era vista così imponente: circa 700 navi, tra cui i più grandi battelli da trasporto, che rimarranno lungo la costa, e i più agili navigli che rimonteranno la foce per portare l’assalto al cuore dell’impero: Parigi e l’Ile de France.

Sulla loro strada c’è la contea del Vexin, un quadrilatero posto appena a nord-est de L’Ile de Paris, delimitato fra la riva dell’Andelle a ovest, l’Oise a est, l’Epte a nord e le curve della Senna nella sua parte meridionale. La contea si distingue poi per la sua natura giuridica particolare. Essa, come dominio della corona, viene infatti donata dal re merovingio Dagoberto o dai suoi successori, intorno al 690, alla potente abbazia di saint Denis. Di lì, per molti anni a venire, i conti del Vexin furono poco più che rappresentanti, in qualche modo protettori di saint Denis, e in battaglia portavano la bandiera dell’abbazia, l’orifiamma che divenne poi tanto famosa  da sostituire il vessillo con la cappa di san Martino in testa agli eserciti francesi.

Nella linea di trasmissione del Vexin compare per la prima volta in questa nostra storia la famiglia dei Nibelughi (Nibelungidi, Nivelonidi), che vanta una illustre discendenza da Childebrand I,  fratello di Carlo Martello e figlio di Pipino di Herstal. Qui troviamo anche un Aleramo, probabilmente quel conte palatino che ha partecipato al giudizio reale sulla causa del 868 riguardante saint Denis, nelle vesti di sposo di una sorella di Theoderic e figlia di Nibelungo IV, conte del Vexin intorno al 853, a cui sembra faccia seguito proprio Aleramo intorno al 878.

Questo nostro Aleramo, che chiameremo provvisoriamente secondo per distinguerlo da quello di Troyes e di Barcellona, non è proprio un personaggio trascurabile. Dice Simon Mac Lean, ragionando di cerchie di potere: “La concentrazione di un arco di contee e monasteri importanti nelle mani di Theoderic e Aletramnus in un semicerchio a nord di Parigi fece di essi i giocatori chiave nella regione e li collocò efficacemente per capeggiare la difesa della città” .

Difesa a cui Aleramo II partecipa attivamente. In previsione dell’attacco normanno, i Franchi hanno abbozzato una strategia che si basa essenzialmente sui ponti. Costruire nuovi ponti, intorno a Parigi e lungo il percorso della Senna, oppure munire quelli esistenti con barbacani, torri e truppe, mira ad impedire agli invasori di scorrazzare liberamente, disperdendosi per rovinare le campagne intorno e poi concentrarsi a sorpresa per l’assalto. I ponti permettono a un esercito senza forza navale di aggirare l’ostacolo dei fiumi e anche di asserragliarsi nei pressi.

Pontoise o, per aderire alla dizione dell’epoca, Pons Hiserae,  è uno di questi snodi strategici. Lì è stato costruito un castro e lì vengono convogliati uomini armati a presidio. Al loro comando Aleramo, che resiste quanto può all’assedio portato dai Normanni alla sua postazione. Poi si ritira con i suoi verso Beauvais. Non è Aleramo II, ci precisa Christian Settipani, ma uno dei suo figli, Aleramo anche lui, che insieme al gemello Teoderico fa strage di Normanni al seguito dell’imperatore Carlo il Grosso quando, durante l’assedio sostenuto da Eudes (Oddone), il figlio di Roberto il Forte, e dal vescovo di Parigi Gaucelin, fa una sola, breve apparizione sulle alture di Montmartre.

Intanto, se la situazione di Parigi migliora e i Normanni sono in trattative, quella dell’impero rovina.

Carlo il Grosso si ammala gravemente a metà del 887 e muore  il 13 gennaio del 888, lasciando dietro di sé turbolenze in tutte le regioni periferiche dell’impero e un solo erede carolingio diretto: Carlo il Semplice, un ragazzino di 8 anni, figlio postumo di Ludovico il Balbo.

Ci sarebbe anche Arnolfo, duca di Carinzia, che però è illegittimo e preferisce comunque, nel caos generale, cominciare a prendersi il titolo di re di quella regione, già appartenuta a suo padre Carlomanno.

Rimane un pretendente. Si tratta di Eudes, l’eroe di Parigi, il solo che sembra garantire un’efficace difesa contro il pericolo Normanno che ancora incombe. Ma esiste un problema di legittimità, in quanto l’incoronazione di Eudes verrebbe a sancire la fine del potere carolingio e l’interruzione della sua discendenza dinastica. E’ vero che, ormai, la linea carolingia è esangue,  ma il richiamo alla tradizione e alla sacralità della figura regia ha ancora un peso rilevante.

I “legittimisti” hanno dalla loro parte anche una figura di rilievo: Folco il Venerabile, arcivescovo di Reims, uomo dalle molte relazioni e dalla mente acuta. In quella mente nasce l’idea di chiamare dall’Italia Guido, duca di Spoleto e di Camerino, che nel momento della disputa sul trono di Francia sta disputandosi a sua volta la corona d’Italia col marchese del Friuli Berengario.

Guido non può contare su alcun rapporto di parentela con i Carolingi, al contrario del suo competitore Berengario, che vanta un’ascendenza carolingia per linea materna. Eppure è Guido, con cui Folco è legato da un rapporto di parentela che si nota attraverso il loro epistolario, a oltrepassare le Alpi e presentarsi in Francia come pretendente alla corona, contando sull’appoggio di Folco e di influenti sostegni in Bretagna e in Borgogna. Fra loro, Anscario, figlio di Amedeo d’Oscheret e poi iniziatore della dinastia degli Anscaridi, marchesi d’Ivrea, il conte di Langres Milone e il vescovo Geilo (o Geilone) che incoronerà Guido nella sua cattedrale di Langres.

Ma il tempo di Guido non è mai venuto. Mentre Geilo lo incorona, ancora nessuno dei due sa che i grandi di Francia, riuniti a Compiegne il 29 febbraio, acclamano Eudes quale re di Francia.

E Folco? Mentre Geilo prepara la cerimonia d’incoronazione per Guido, Folco ha già messo da parte quella possibilità, cercando di convincere Arnolfo di Carinzia a fare quel passo che non vuol fare e progettando un avvenire per Carlo il Semplice, che invece si concretizzerà. Sarà Folco stesso, infatti, a incoronarlo a Reims nel 893 e a sostenerlo durante i primi mesi di duri contrasti con Eudes, finché quest’ultimo accetterà il compromesso, riconoscendolo ufficialmente nel 897 e designandolo in qualità di erede alla sua morte. Ciò che avverrà solo un anno dopo, nel 898.

Arrivati a questo punto, possiamo riprendere il nostro discorso intorno ad Aleramo II e, poi, Guglielmo. Dall’opera di Flodoardo apprendiamo che Aleramo è ancora a Beauvais e che condivide le idee legittimiste dell’arcivescovo, schierandosi al suo fianco. Possiamo immaginare come la situazione precaria di quegl’anni turbolenti segnino profondamente la sua vita politica e anche personale, di cui sarà ricompensato da Carlo il Semplice il 25 maggio del 900, con la concessione dei pagi di Chamsesais e Pertois, nel Chalonnais.

Il suo nome compare nel libro dei morti dell’abbazia di saint Denis e ripreso in quello della prioria di Argenteuil. Morto il 14 luglio di un anno presumibilmente risalente si primi del X secolo.

Niente di documentabile lo lega al Guglielmo che segue il marchese Guido di Spoleto nel suo deludente ritorno in Italia. Niente, tranne l’opportunità e la consuetudine. Soltanto un Guglielmo figlio o nipote di un Aleramo poteva rinnovare proprio quel nome nel suo primogenito. E soltanto quell’Aleramo di Beauvais aveva la possibilità di permettergli di giungere in Italia con adeguato seguito e adeguata considerazione da parte di una così distinta compagnia.

Infatti, in Italia noi lo conosciamo conte. Di quale territorio lo dobbiamo ad Aldo A. Settia, che ne individua i confini con la ben nota competenza e precisione. Si tratta della Judiciaria Torrensis o comitato Toresianus o anche, semplicemente, Torresana, dal nome del Castrum Turris che sorgeva sul colle tra Villadeati e Cardona, accanto alla pieve dedicata a san Lorenzo. Un distretto rurale, dunque, che scompare nella seconda metà del X secolo, probabilmente riassorbito dalla revisione territoriale voluta da Berengario II.

Lì, Guglielmo svolge le sue mansioni, comparendo a tratti nei diplomi regi. Fino al 924. Quindi il suo nome scompare per essere sostituito, nel 933, da quello di Aleramo. Nell’arco di tempo fra il 924 e il 933, dunque, si situano la morte di Guglielmo e il passaggio del titolo ad Aleramo.

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