Beccaria (Beccio) Incisa Grattarola Francesco

di V. Castronovo, voce, BECCARIA (Beccio) INCISA GRATTAROLA, Francescoin Dizionario biografico degli italiani, Roma IEI, www.treccani.it

Appartenente al ramo di Coniolo della famiglia comitale Incisa Grattarola, nacque nel 1518 a Occimiano, nel Monferrato, da Giovanni Antonio, che nel 1532, durante il governo degli ultimi marchesi Paleologhi, era podestà del luogo. Dottore in leggi e abile giureconsulto, venne nominato nel 1554 vicario di Casale e si trovò a svolgere il suo mandato nel corso del conflitto fra Carlo V ed Enrico II che dal marzo 1555 investì direttamente anche il Monferrato. Non si conosce la parte svolta dal B. durante l’occupazione francese di Casale e il governo del maresciallo Brissac: egli tuttavia, già devoto ai Gonzaga (nel 1558 e nel 1559 aveva partecipato in Francia alle trattative per sbloccare, in favore di Ludovico, fratello di Guglielmo, la causa della duchessa di Alençon, nonna del giovane principe), doveva assumere una posizione di rilievo nei complessi preliminari della pace di Cateau Cambrésis, relativi alla questione del Monferrato. A lui, infatti, il duca di Mantova affidò la definizione dei termini del capitolo di restituzione del Monferrato, in particolare degli spinosi problemi legati al giuramento con cui il Gonzaga avrebbe dovuto assicurare l’immunità dei beni dei maggiorenti casalesi nonché la prescrizione di ogni richiesta riguardante il conto dei tributi e di altri benefici maturati alla data del trattato.
Cercando di trarre vantaggio dall’autorità che il B. godeva presso la corte di Mantova e dalla fiducia in lui riposta dalla marchesa Anna, Lorenzo Silvano, inviato da Casale a Parigi per opporsi all’assegnazione del Monferrato al Gonzaga, tentò nel gennaio 1559 di procurarsene l’appoggio, affinché almeno fosse esaminata più a fondo la possibilità di ripiegare su un’investitura di Ludovico, che sembrava offrire più sicure garanzie sia di conservazione dei privilegi locali, sia di equilibrio tra l’influenza imperiale e quella francese. In questo senso, anzi, vennero offerti al B. 30.000 scudi, a titolo di ricompensa in caso di successo. Ma il B., informato immediatamente l’ambasciatore mantovano Ercole Strozzi, rinviò il diplomatico casalese al connestabile di Montmorency, presso cui lo Strozzi era preventivamente intervenuto per far cadere le proposte del Silvano. Il B., tuttavia, a conoscenza dei gravi risentimenti locali e delle prime tendenze alla ribellione, si sforzò nei mesi successivi di convincere il Silvano e il senatore casalese Paolo del Ponte sulla intenzione dei Gonzaga di vagliare con spirito di tolleranza le aspirazioni di autonomia amministrativa delle magistrature e dei reggimenti locali. Nello stesso tempo il B. raccomandava al duca di valutare i pericoli derivanti dall’affrettata instaurazione di una signoria eccessivamente dispotica, tenendo nel dovuto conto “le pretensioni che altri fanno sopra lo Stato”. Era da prevedere infatti, egli affermava, alludendo evidentemente al duca di Savoia, che “se la malignità di quei cittadini avesse trovato ramo ove appigliarsi dalla parte dei pretendenti, non avrebbe mancato di farlo”. E ammoniva quindi, in una lettera del 2 luglio 1559, che sarebbe stato miglior partito quello di guadagnarsi opportunamente e senza indugi il favore della maggior parte della popolazione: “non vi sono molti homini d’ingegno e di valore, et levati alcuni pochi, gli altri saranno facili da ritirare nella buona strada”. “Vincer quei capi che son pochi o rimoverli con destrezza da quella città sì che non possano esser come gozza che di continuo cada sopra la pietra et di nuovo inasprir li cor de li migliori”, come suggeriva il B., sarebbe stata in seguito la politica perseguita da Guglielmo, senza tuttavia immediati esiti positivi, data la disperata volontà di resistenza della comunità. Nel frattempo egli provvedeva a far vidimare a Parigi il testo del decreto, con cui si concedeva infine il perdono del duca ai Monferrini e il riconoscimento dei loro averi, dopo che a Mantova ne era stata modificata la prima redazione.
Con l’acquisizione del territorio monferrino il B. divenne a Casale uno dei maggiori esponenti del governo gonzaghesco. Nel corso delle travagliate vicende dei primi anni del dominio mantovano, caratterizzati da tentativi di rivolta capeggiati da Oliviero Capello, fu incaricato di seguire da vicino le complicazioni diplomatiche che, aggravando l’antagonismo fra Guglielmo ed Emanuele Filiberto, erano presto insorte a causa dell’azione eversiva dei fuorusciti casalesi rifugiatisi nei vicini territori del duca di Savoia. Nel 1565 gli fu affidato il compito di controllare, con la nomina a senatore, l’operato della magistratura cittadina che, nella difesa dei privilegi tradizionali, poteva costituire il maggior centro catalizzatore dei fermenti locali. Nell’aprile 1570 il B. assecondò i tentativi volti ad alleggerire, lo stato di tensione fra Torino e Mantova con una missione presso Emanuele Filiberto, per ringraziarlo, a nome di Guglielmo, del bando con cui aveva ordinato ai ribelli casalesi di uscir fuori dallo Stato, e del successivo rifiuto opposto dal duca alle offerte di accordi avanzate da Pirro Gonzaga, inimicatosi con Guglielmo, per la successione di Dosolo e Gazzuolo. Il B. in quella occasione tentò anzi, ma senza fortuna, di accreditare presso la corte di Torino l’insinuazione che la rivolta dei Casalesi fosse fomentata, per interesse personale, da qualcuno dei principali ministri sabaudi.
Nella confusa e inquieta situazione del Casalese nemmeno il B. doveva tuttavia sottrarsi, qualche anno dopo l’erezione del marchesato a ducato, al sospetto di connivenza con i gruppi dissidenti. Imputato nel 1579, con il senatore Fiamberti, di segreti contatti con il maresciallo francese Bellegarde o, più probabilmente, con il duca Emanuele Filiberto, fu imprigionato e sottoposto a tortura “con corda e fuoco”. Dopo la sua liberazione nel 1580, per intercessione dell’imperatrice vedova di Massimiliano II, Maria, non si ha traccia della sua attività. Si conosce soltanto la data della sua morte, avvenuta nel 1592; lasciò due volumi di trattatistica legale, i Consilia, pubblicati a Genova nel 1575 e un saggio, l’Oracolo.
Bibl.: A. Nota, Del Senato di Casale nuovamente eretto dal Re Carlo Alberto…, Casale 1838, pp. 19, 25; L. Scarabelli, Paralipomeni di storia piemon. dall’anno 1285 al 1617, Firenze 1847, pp. 425, 438; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, Torino 1881, II, p. 444; A. Manno, Il patriziato subalpino, Firenze 1906, II, p. 217; F. Valerani, Accademia di Casale nei sec. XVI e XVII, Alessandria 1908, p. 90; R. Quazza, Emanuele Filiberto di Savoia e Guglielmo Gonzaga (15591580), Mantova 1929, pp. 8, 10-13, 17, 118; Id., Il Monferrato nei centosettant’anni di dominio gonzaghesco, in Convivium, IV, 3 (1932), pp. 391 s.