Capello Oliviero

di A. Dillon Bussi in Dizionario biografico degli italiani, Cfr. www.treccani.it

Nacque a Casale, probabilmente tra il 1510 ed il 1520.
L’incertezza, che permane circa la datazione della nascita, era presente quando si consideravano i dati relativi alle origini familiari e alla vita privata. Così gli studiosi sono stati discordi sul nome del padre, venendo proposto un Giovanni, cancelliere fiscale, considerato il più probabile; un Lorenzo e un Nicolò. Con eguale volubilità gli è stata attribuita in moglie ora Maria della Valle, ora Petronilla della Torre, nobildonne casalesi, ora Petronilla Malopera, nobildonna astigiana; cosicché c’è stato chi ha formulato l’ipotesi di almeno due suoi matrimoni.
Dal testamento redatto nel 1564 e conservato nel municipio di Casale risulta che padre gli fu il “magnificus doctor dominus Laurentius” e moglie fu veramente Petronilla Malopera, dalla quale il C. ebbe due figli, Fulvia e Mario, la prima minorenne e il secondo ancora infante alla data della compilazione del testamento.

La famiglia Capello fu tra le più antiche della città, divenendone forse anche una delle principali. Legata alla professione forense e notarile, aveva partecipato quasi ininterrottamente all’amministrazione comunale almeno dagli inizi del sec. XIV. Il fatto poi che i suoi membri venissero qualificati “domini” è indizio della posizione di preminenza sociale acquisita nell’ambito cittadino.

Seguendo la tradizione familiare anche il C. si dedicò agli studi giuridici. Secondo il Massara Previde, nel 1536 era già detto giureconsulto e con questo titolo viene sempre qualificato in seguito nei documenti. Solo dal 1555 tuttavia è possibile seguire con continuità le vicende biografiche del C. che, in quell’anno, combatteva come capitano delle milizie imperiali contro le truppe francesi comandate dal Brissac.

In base ai documenti fino ad oggi noti non è lecito formulare alcuna ipotesi sui motivi della partecipazione del C. al conflitto franco-spagnolo che dilaniò il Monferrato fino alla stipulazione della pace di Cateau-Cambrésis (1559). Si può notare però che la professione delle armi fu dovuta, con tutta probabilità, ad una scelta personale; che forse non è casuale il fatto che le prime notizie di una attività militare del C. risalgano al 1555, anno successivo a quello dell’occupazione di Casale da parte dei Francesi (1554); infine che il C. partecipò a questa guerra in una posizione per così dire legalitaria, e cioè a fianco degli Spagnoli al cui appoggio i Gonzaga dovevano la signoria di Casale e del Monferrato. Né osta sostanzialmente a quest’ultima affermazione il fatto che, ritornata la pace in Monferrato e ristabiliti i Gonzaga al potere, questi concedessero un’amnistia generale per tutti i sudditi che avevano preso le armi, senza distinguere sotto quale bandiera avessero militato.

Durante la guerra il C. fu nominato commissario generale nello Stato di Monferrato ed ebbe il governatorato di Ponzone. Dal marchese di Pescara Francesco Ferdinando d’Avalos, subentrato nel comando delle truppe imperiali, ebbe, riconoscimenti ed una stima profonda che gli fu conservata e più volte dimostrata in seguito. Da lui il C. venne scelto per dirigere l’opera di fortificazione di Vignale che venne prontamente attaccata dal Brissac (1556).
Assieme ad altri difensori della piazza monferrina il C. cadde prigioniero. L’episodio ebbe risonanza per gli onori militari concessi dal Brissac al coraggioso comportamento dei difensori di Vignale, fra cui appunto il Capello.

Con la pace di Cateau-Cambrésis il Monferrato fu restituito ai Gonzaga; ma, come è noto, l’insediamento del duca Guglielmo incontrò l’ostilità delle popolazioni locali. A Casale, in modo particolare, l’indirizzo assolutistico del duca provocò l’ostinata resistenza della cittadinanza che si vedeva privata di quella libertà e di quella autonomia di cui aveva largamente goduto sotto i Paleologi. Dapprima larvata, l’avversione si manifestò sempre più apertamente concretandosi in una lotta di cui il C. fu, fin dall’inizio, il più tenace e leale sostenitore, fino a divenire, come dice R. Quazza, “l’anima della resistenza”. Anche se la vicenda storica non può essere ridotta in termini troppo semplicistici, si può affermare con sicurezza che l’apporto personale del C. nella fattispecie fu spesso determinante e che le difficoltà che il Gonzaga incontrò nel liquidare la ribellione casalese diminuirono dopo l’eliminazione del Capello.

Già dal 1560 il C. aveva incominciato a prendere parte alla vita pubblica cittadina come consigliere comunale. Tra il 1561 e il 1563 aveva ricoperto almeno due, ma forse anche tre volte il proconsolato (ufficio di durata semesurale) e di questa attività rimane traccia in alcune disposizioni, come quella relativa alla costruzione dell’arca di s. Evasio (1563).

Verso la fine del 1563 esplose il primo episodio di lotta aperta fra Casale e il duca, in seguito alle richieste ed alle intimazioni di rinunciare alla giurisdizione ed alle libertà cittadine, fatte da Margherita Paleologa, madre di Guglielmo e governatrice del Monferrato, per volere di quest’ultimo. L’arresto e l’esilio di uno dei due proconsoli non piegarono Casale che, di fronte alle ripetute sollecitazioni gonzaghesche, rispose con un atto di audacia, dichiarando di volere rimettere la controversia alla giustizia imperiale.

Ispiratore di questa mossa era stato il C., ormai divenuto influentissimo entro la cerchia cittadina. Quale avvocato del Comune fu scelto come oratore, procuratore e difensore della causa della libertà di Casale davanti all’imperatore. Il 28 luglio 1564, dopo aver già preso contatto con un emissario della corte imperiale in Asti e aver richiesto pareri giuridici al Collegio pavese per corroborare i diritti di Casale, il C. partì per Vienna. Il soggiorno si protrasse alcuni mesi che tuttavia non trascorsero vanamente: il C., come risulta dalle lettere dei diplomatici gonzagheschi inviati a sorvegliare la sua azione a Vienna, non cessò di perorare la causa casalese riuscendo a suscitare una certa diffidenza nei confronti dei Gonzaga. Finalmente il 28 dic. 1564 il tribunale imperiale, cui Massimiliano II aveva rimesso la questione, pronunciò una sentenza sostanzialmente favorevole a Casale che trovava ulteriore conferma in una lettera inviata poco dopo (23 genn. 1565) dall’imperatore a Guglielmo con cui il duca era invitato a non violare gli antichi privilegi della città.

A Casale la notizia del successo riportato dal C. generò un irresponsabile entusiasmo che permise al partito oltranzista di prevalere e di decretare la costruzione di un forte presso una porta della città (2 marzo 1565). L’atto, di aperta ribellione, fornì al Gonzaga lo spunto per volgere il gioco a proprio favore e distrusse in buona parte i vantaggi conseguiti dalla prudente azione del C. che giunse a Casale solo a maggio quando ormai la situazione si era fatta gravissima. Guglielmo, insinuando che al fatto non doveva essere estraneo Emanuele Filiberto, di cui erano ben note le aspirazioni al Monferrato, creò un’atmosfera di grave tensione politica.

Solo nel giugno del 1565, dopoché vari tentativi di accordo erano falliti, prevalse in Casale il parere moderato del C. che chiedeva lo smantellamento del forte. Il duca sembrò propenso a trattare con la comunità monferrina; seguito dalla corte e da un gran numero di armati si stanziò a Frassineto (a tre miglia da Casale) e chiese che fosse inviato il C. quale rappresentante di Casale. Sul C. d’altra parte era già caduta la scelta dei concittadini dal momento che in lui stava ormai “riposta tutta l’autorità della città”. Il C. accettò, pur ritenendo che la propria incolumità fosse garantita solo dalla presenza a Frassineto del marchese di Pescara; ma prima di partire stipulò segretamente un atto con il quale inficiava di nullità ogni suo negozio e sottoscrizione in Frassineto e di cui pare che il Gonzaga venisse subito a conoscenza. Nonostante che diffidenza, sfiducia e simulazione fossero presenti in ambedue le parti, i patti furono egualmente stipulati, grazie anche all’intervento della Spagna cui premeva che la questione avesse un esito pacifico.

Solo al momento del commiato il C., presentatosi per il baciamano d’uso, incontrò Guglielmo che non gli nascose la propria freddezza “dichiarandolo sorgente di tutti i suoi disgusti”.

Dopo l’apparente rappacificazione Guglielmo rientrò in Casale; ma, com’era naturale dati i presupposti, la situazione degenerò rapidamente. Il C. fu nuovamente eletto proconsole; il duca interpretando tale atto come un sfida rispose facendo entrare in Casale un gran numero di armati. Il C., sentendosi in grave pericolo, con altri cittadini fuggì di notte, rifugiandosi a Motta de’ Conti (Vercelli) nei domini sabaudi. Qui, disponendo di risorse economiche provenienti in parte da Emanuele Filiberto che svolse sempre un’azione di appoggio alquanto cauta, e in parte dagli stessi concittadini, il C. e i suoi compagni, incuranti dei bandi sempre più vessatori emanati dal duca contro di loro (tra l’altro al C. fu comminato il confino a Cremona), poterono organizzarsi costituendo una sorta di governo cittadino fuoruscito, che intratteneva relazioni politiche sia con Casale, sia con gli esponenti imperiali, sia con i giudici dei Collegi giurisdizionali davanti ai quali si trascinava la questione di Casale per effetto della sentenza imperiale del 28 dic. 1564. A Casale, nonostante lo stretto controllo esercitato da Guglielmo e le angherie militari e fiscali inflitte e tollerate quotidianamente, non erano del tutto cadute le speranze di una soluzione favorevole della vertenza. Senonché il C., resosi conto che ogni tentativo di trattative paritarie veniva costantemente respinto da Guglielmo ormai deciso a dichiarare ribelli i fuorusciti, accortosi che il favore imperiale si era volto verso il Gonzaga (non è certo se nell’aprile del 1566 il C. su richiesta della comunità si fosse nuovamente recato a Vienna), decise di tentare una via nuova, cercando la protezione di Pio V.

Dotato di uno spirito indomabile, sostenuto dalla giustizia della propria causa il C. non esitò, come già nel 1564 con Massimiliano II, a ricorrere ad un’azione individuale, illudendosi che il gioco dei potenti potesse veramente volgersi a suo esclusivo vantaggio o che la ragion di Stato potesse piegarsi di fronte alle istanze dell’equità. La mossa del C. non mancava tuttavia di accortezza politica poiché il pontefice non era in buoni rapporti con il duca e poteva costituire un valido appoggio.

In una sua lettera il C. diede un resoconto completo del suo avventuroso viaggio alla volta di Roma e del soggiorno in questa città. Sappiamo quindi per sua diretta testimonianza che riuscì a eludere un tranello tesogli da Francesco de’ Medici; che, giunto a Roma il 28 dic. 1566, ottenne l’immediato e incondizionato appoggio del cardinale Marcantonio Bobba e che la data del colloquio, accordatogli dal pontefice grazie a quest’ultimo, fu spostata a causa dello straripamento del Tevere e del conseguente isolamento di S. Pietro. L’incontro con Pio V, vinta una sua iniziale diffidenza, portò frutti insperati. Il pontefice infatti non solo mostrò una piena adesione per la causa di Casale; ma combinò un incontro tra il C. e il marchese di Pescara, in quei giorni a Roma, riuscendo ad ottenere da quest’ultimo la promessa che si sarebbe adoperato presso il cognato Guglielmo a favore di Casale.

La lettera spedita dal C. prima di partire da Roma cadde nelle mani degli agenti gonzagheschi, cosicché Guglielmo avvertito dei progetti avversari riuscì con un’accorta serie di manovre diplomatiche a neutralizzare a un tempo l’intromissione papale e a costringere il Pescara ad una posizione passiva; mentre il C. all’oscuro di tutto era impegnato in un lungo e insidioso viaggio di ritorno.

Deciso a domare definitivamente i fuorusciti Guglielmo cercò, senza per altro riuscirvi, di indurre il duca di Albuquerque, governatore di Milano, a imprigionare il C. giunto in questa città il 4 febbraio. Il 12 febbraio tuttavia Guglielmo otteneva che proprio il Consiglio di Casale dichiarasse “ribelli” il C. e i compagni con le gravissime conseguenze giuridiche che derivavano da. questa qualifica. Ma fu solo alcuni mesi dopo, nell’ottobre, che più gravi eventi, cioè la scoperta di una congiura contro la propria persona, indussero il duca a eliminare definitivamente il C. facendolo uccidere proditoriamente da un fuoruscito da lui corrotto con denaro, il giureconsulto Marcantonio Cotti di Castagnole, in Chieri (21 ottobre), dove il C. si era rifugiato.

Si è dubitato per molto tempo della veridicità della congiura, ritenuta da alcuni studiosi escogitata ad arte da Guglielmo per potersi definitivamente disfare degli avversari. Oggi, alla luce dei documenti scoperti da R. Quazza, non pare più di poterne dubitare. Per quanto riguarda la responsabilità e la parte che vi ebbe il C. dovette essere senza dubbio preponderante, anche se non bisogna dimenticare che gli interrogatori dei congiurati, nei quali è costantemente indicato come il principale ispiratore di essa, furono ottenuti con la tortura e dopo la sua morte, quando nessuna accusa avrebbe più potuto nuocergli.

Più di ogni altra considerazione possono illuminarci sul carattere del C. le disposizioni testamentarie redatte il 18 giugno 1564, nelle quali si rivela uomo semplice e onesto, ma anche accorto e prudente, indipendente, fiero e schietto fino alla più completa assenza di qualsiasi conformismo. Marito e padre tenerissimo, non esita a disporre una forte riduzione della dote della figlia, qualora entri in convento. Per sé, cosa inconsueta, impone la cremazione.

Delle sue ingenti sostanze appare oculatissimo amministratore, ma anche generoso dispensatore, non trascurando di beneficiare, oltre gli amici e i servitori, le comunità monferrine colpite dalla guerra. Particolare cura ebbe nel disporre del feudo di Cortandone da lui acquistato il 31 marzo 1565 con le relative patenti di nobiltà. Il figlio Mario non rispettò la volontà paterna, perché alienò una parte del feudo nel 1591.
Al C. si deve uno scritto d’occasione: La regale et trionfante entrata in Spagna nella nobil città di Toledo della Ser.ma Regina Isabella moglie della Sacra Cat.ca M.ta del Ser.mo Filippo d’Austria re delle Hispagne…, nella rara ed. di S. Moscheni, Milano 1560, dal quale si apprende della sua presenza in Spagna nel 1559.

Fonti e Bibl.: Casale Monferrato, Archivio comunale (testamento originale di O. C.); Archivio di Stato di Torino, Sezione camerale, Indice dei feudi, 1076, p. 1, vol. 27; Investiture, 1561-1573, vol. 10, f. 76. Lo studio più completo e preciso sul C. resta attualmente quello di R. Quazza, Emanuele Filiberto di Savoia e Guglielmo Gonzaga (1559-80), in Atti e mem. d. R. Acc. Virgiliana di Mantova, n.s., XXI (1929), pp. 35, 37-38, 40, 43-48, 58-67, 69, 86-88, 92, 99, 104-105, 108, 110, 136, 235; ad esso si rinvia anche per la citazione delle fonti archivistiche; altre fonti sono state pubblicate da L. Scarabelli, Una cronaca anonima di Casale dal 1530 al 1582…, in Arch. stor. ital., XIII (1847), pp. 335-438; U. Fisso, Res Casalensium tristes ab anno MDLXIII ad MDLXIX anonymo coevo, in Boll.storico-bibl. subalpino, XII (1907-1908), pp. 221-228; A. Migliardi, Un tragico periodo di storia casalese…, in Riv. di storia,arte,archeologia per la prov. di Alessandria, s. 3, XIV (1930), pp. 245-264; R. Quazza, La diplomazia gonzaghesca, Milano 1941, pp. 73-82. Vedi inoltre, Torino, Biblioteca reale, S. P. 1074/2: P. Massara Previde, Genealogie patrii, pp. 877-880; V. De Conti, Notizie storiche della città di Casale e del Monferrato, V, Casale 1840, pp. 298-422; P. Corelli, O. C. Storia del Monferrato del sec. XVI, Casale 1846; L. Torre, Scrittori monferrini…, Casale Monferrato 1898, p. 89; E. Canepa, Delle presunte congiure casalesi contro il duca Guglielmo Gonzaga, in Riv. di st.,arte,arch. per la prov. di Alessandria, s. 3, VI (1922), pp. 255-289; R. Quazza, Il Monferrato nei centosettanta anni di dominio gonzaghesco, in Convivium, IV (1932), pp. 383-391; Id., Preponderanze straniere, Milano 1938, pp. 46-51; F. Vitullo, I moti casalesi del sec. XVI. Guglielmo Gonzaga e C., in La prov. di Alessandria, IV (1957), 1, pp. 12-14; C. F. Capello, De Capellorum gente, Chieri 1957, pp. 39-61, 96, 130; R. Quazza, Vicende politiche e militari del Piemonte dal 1553 al 1773, in Storia del Piemonte, I, Torino 1960, pp. 193-195; L. Mazzoldi, Da Guglielmo III duca alla fine della prima dominazione austriaca in Mantova. La Storia, III, Mantova 1963, pp. 11, 13, 15, 18, 55, 57, 58, 60; L. Baiano, La rivolta di Casale contro i Gonzaga nel 1567, in La prov. di Alessandria, XIV (1967), 3, pp. 34-36; G. A. di Ricaldone, Annali del Monferrato (951-1708), Torino 1972, pp. 602, 610 ss., 617, 671, 917, 1361-1365.