Cocconato Guido
(Guidetto, Vieto, Guidone, Ghione) A. A. Settia in Dizionario biografico degli italiani, Cfr. www.treccani.it
Fu figlio di Alemanno, e quindi nipote ex fratre di Uberto, cardinale di S. Eustachio, e di Bonifacio che fu vescovo eletto di Asti. Non essendo nominato nel relativo documento, si deve intendere che il C. non era ancora nato, o era di età minore nel 1277, allorché fratelli e nipoti del cardinale si divisero la eredità di quest’ultimo. Fu probabilmente il penultimo di cinque figli maschi: Emanuele, Riccardo, Filippone, il C. e Pietrino, nominati appunto in quest’ordine in due documenti del gennaio 1308. La prima notizia a lui relativa ce lo presenta nella funzione di podestà di Mondovì; ciò presuppone sue relazioni con la Chiesa di Asti, cui spettava allora la nomina del podestà in Mondovì. La successiva attività politica del C. si inserì dapprima nelle lotte tra le fazioni astigiane e poi nella crisi di trapasso dalla dinastia aleramica a quella dei Paleologi nel marchesato di Monferrato, crisi che ebbe i suoi momenti culminanti nel quinquennio 1305-1310.
Alla morte di Guglielmo VII di Monferrato, avvenuta in Alessandria il 6 febbr. 1292, uno dei quattro rettori del marchesato in nome del nuovo sovrano Giovanni I, assente, era stato un cugino del C., Uberto, il quale aveva trattato allora con il Comune di Asti a nome di tutto il suo gruppo familiare. Dal 1304 il personaggio più in vista della casata fu invece il C., che vediamo già in quell’anno stipulare un’alleanza con la parte ghibellina scacciata da Asti. Nel 1305, dopo la morte del marchese Giovanni, ultimo degli Aleramici di Monferrato, egli partecipò infatti insieme con il fratello Filippone e con un altro Cocconato, Enrico, al Parlamento tenutosi in Trino Vercellese il 9 marzo 1305 per decidere sulla sorte del marchesato. Appare chiaro che i Cocconato parteggiavano per Manfredo di Saluzzo, uno degli aspiranti alla successione, poiché sin dal gennaio precedente il C. era stato presente ad una concessione di franchigie alla Comunità di Chivasso da parte di Manfredo e, in quello stesso anno, presenziò a parecchi altri atti analoghi compiuti da costui in Monferrato figurando costantemente fra i consiglieri e i vassalli del marchesato. Nei documenti relativi ad una di tali cerimonie, svoltasi il 12 nov. 1305 a Casorzo, per la prima volta il nome del C. è seguito dal titolo di “comes Radicate”.
Radicata era un centro abitato oggi scomparso nel territorio di San Sebastiano Po (Torino), e il titolo di conti di Radicata fu portato nel XII secolo dai soli signori di questo luogo, non perché discendenti da famiglia di ufficiali pubblici, ma solo in qualità di domini loci, secondo l’usanza locale, diffusa anche nel vicino Astigiano e presso altre famiglie della zona, non esclusi gli stessi Cocconato. Scomparsi dopo il 1178 i Radicata, il luogo con l’annesso titolo era passato ai signori di San Sebastiano e quindi, dopo la creazione di un consortile che inglobò sia i San Sebastiano sia i Cocconato, il titolo servì a designare il consortile medesimo, ossia la domus o hospicium Radicate, di cui sono rimaste tracce documentarie a decorrere dalla metà del sec. XIII. Tale predicato, da questo momento, per tutti i secoli successivi, sarà costante tra i membri dei Cocconato fino ad assumere, dopo il sec. XVI, forma cognominale e a sostituire completamente l’indicazione toponimica “di Cocconato”.
Assestatosi il potere di Teodoro I Paleologo quale successore degli Aleramici di Monferrato, anche il C. si adeguò al nuovo stato di cose: lo si trova infatti abitualmente al servizio del nuovo marchese a datare almeno dal 1308. È questo anche l’anno in cui il C. e i suoi fratelli obbligarono al vescovo di Asti parte dei loro beni in Montaldo (oggi Roero) per una cospicua somma, forse destinata come prestito allo stesso marchese Teodoro. Ancora al seguito di quest’ultimo, il C. si trovava in Chieri il 1º nov. 1310 fra gli incaricati di accogliere Enrico VII da pochi giorni giunto in Italia; insieme con il Paleologo accompagnò il re dei Romani ad Asti e quindi a Milano, dove il 28 dicembre il sovrano gli rilasciò un diploma a riconoscimento, in forma feudale, di beni e di diritti allora goduti dalla sua famiglia in Cocconato e in altre venti località circonvicine. È, questa, la prima volta in cui la casata dei Cocconato viene considerata alla diretta dipendenza dell’Impero, salvi gli obblighi verso la Chiesa di Vercelli.
Nel gennaio del 1311, dopo essere stato presente ad un altro atto fra il marchese di Monferrato ed Enrico VII, che da pochi giorni era stato incoronato a Milano, il C. fu destinato come vicario regio a Parma, dove fece il suo ingresso il 27 gennaio. Egli avrebbe introdotto, secondo l’Affò, alcune riforme nel Consiglio cittadino, ma non avrebbe saputo poi affrontare con chiarezza di idee e con adeguato vigore i moti di piazza che scoppiarono di lì a poco tra le fazioni dei Rossi e dei da Correggio; certo non sufficientemente esperto dell’infocato ambiente cittadino, il vicario regio – a detta del Chronicon Parmense – “viliter et fragilitius se habuit”, talché il 6 aprile successivo fu costretto a lasciare il suo incarico, non diversamente, del resto, da quanto avveniva per i vicari regi di altre città padane. Dal novembre 1311 al febbraio 1312 il C. era a Genova, sempre al seguito di Enrico VII e nell’entourage del marchese di Monferrato, continuamente proteso alla ricerca di denaro. Il 14 novembre Enrico gli concesse di pignorare, per la somma di 20.000 fiorini, quattro castelli, che poneva nelle mani del C. e in quelle dei suoi consorti i quali ne avrebbero dovuto rispondere direttamente al re fino ad avvenuto riscatto. Dopo questo avvenimento, le fonti a noi note tacciono sul C. per circa otto anni: la prima notizia a lui relativa dopo il 1312 è infatti del 3 sett. 1319, quando egli è presente al Parlamento tenutosi in quel giorno fra i vassalli monferrini, insieme con tre dei suoi fratelli e con cinque rappresentanti di altri rami della casata; la stessa massiccia presenza si ebbe l’anno dopo, nel Parlamento convocato per ripartire gli oneri della milizia fra i signori e le Comunità rurali del marchesato. Della commissione incaricata di questo compito fecero parte dapprima Bonifacio e Filippone di Cocconato, ma per espresso desiderio del marchese vi vennero poi inclusi, fra gli altri, anche il C., i suoi fratelli Riccardo e Filippo, e i nipoti Pietro e Bonifacio.
È questo l’ultimo atto pubblico in cui compaia il C., il quale, ancora vivo il 24 nov. 1320, risulta ormai defunto nel marzo 1324, allorché i figli Bonifacio, Uberteto, Guglielmo, Ottobono e Pietro, suoi eredi, furono investiti dal vescovo di Asti dei beni in Montaldo.
Dal 1329 al 1357 è attestato nei documenti un altro Ghione di Cocconato che non è dunque da confondere con il nostro.
Si dovette al C., oltre che la prima pubblica affermazione del titolo comitale legato al predicato di Radicata, anche il primo riconoscimento dei beni familiari con un diploma regio, fatto quest’ultimo che comportò la qualifica di diretto “fidelis Imperii”, titolo e privilegi che i suoi discendenti cercheranno poi di retrodatare e di far valere sino all’inizio dell’età contemporanea.
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