Cocconato Annibale Radicati

di H. Michaud, voce COCCONATO, Annibale Radicati conte di, in  in Dizionario biografico degli italiani, Roma IEI, www.treccani.it

Nato verso il 1530 da famiglia piemontese di antica fedeltà sabauda, il 1º genn. 1561, nel quadro della riorganizzazione dello Stato sabaudo dopo l’occupazione francese, ricevette, a Vercelli, contemporaneamente la carica di “gentiluomo e scudier de bocca” della casa di Emanuele Filiberto e la carica di “cappitano d’ordonnance” ne “la militia ordinaria laqual habbia da essere presta e apparecchiata ad ogni bisogno”. La sua compagnia contava duecento uomini e il suo soldo ammontava a 80 lire al mese. Ma in questa posizione il C. non doveva tardare a conoscere difficoltà e insidie.

Il testo di una lettera inviata dal C. al “veedore generale di milizia e gente di guerra” Giov. Matteo Cocconato nel sett. del 1565 è chiaramente rivelatore in questo senso. Dopo aver atteso quindici giorni a Torino, “per conferir alchune mie cose”, incaricò un avvocato di portare le sue scuse e rientrò a casa sua: “sono fastidioso e non volendo io venir al presente in corte, per non discomodar le malelingue”, benché il conte di Stroppiana, “per sua cortesia”, si fosse offerto di fargli ottenere una udienza dal principe. Egli presumeva che “con il tempo si cognoscerà le loro e mie accione”, ma teneva a non voler stare “in malla oppinione del mio principe”.

Malauguratamente il duca di Savoia non doveva mutare questa “malla oppinione” poiché, poco più tardi, il C. ritenne preferibile passare in Francia e tentarvi la sorte come militare. Dal 1569 infatti lo si ritrova nei ranghi delle armate del re, col titolo di “cappitaine d’une compaignie de gens de pieds italiens”. Nel 1570 rilascia quietanza del soldo ricevuto per se stesso e la sua compagnia per i due primi mesi del 1569. Nel maggio 1569 conduceva truppe in difesa della piccola città di Dun-Le-Roi assediata dai protestanti del duca di Deux-Ponts, e, nel 1570, partecipava alla difesa di Marennes-en-Saintonge. La tradizione lo elenca tra gli esecutori della strage di S. Bartolomeo.
Quando partecipò all’assedio di La Rochelle nel 1573, il suo zelo e il suo talento militare gli valsero l’opportunità di frequentare i grandi personaggi della corte, compresi i principi del sangue. Il Brantôme, per esempio, riferisce che, dopo un fallito assalto alla città, il duca di Angiò, fratello e luogotenente generale del re, riunì il consiglio degli ufficiali che lo assistevano e convocò Filippo Strozzi, il quale aveva condotto l’azione, nella tenda del conte di Cocconato. Alle sue capacità il C. univa però il gusto dell’intrigo e una grande avidità. Privo di ogni scrupolo, non resistette alla tentazione di approfittare dei vantaggi della sua posizione per tradire i suoi nuovi padroni in cambio del denaro contante offertogli dall’ambasciatore spagnolo don Diego de Zuñiga, poiché, come scriveva questi, “sono le prove che tali persone prediligono”. Fingendosi preoccupato dei lavori alle gallerie sotterranee, dei quali era incaricato durante l’assedio, il C. informava don Diego sui negoziati per l’elezione del duca d’Angiò a re di Polonia. Secondo i dispacci, nei quali veniva indicato col nome di Ercole, il C. proponeva di ostacolare questa elezione e di favorire il moscovita Ivan il Terribile come rivale del giovane Enrico.
Tuttavia, dopo l’elezione di Enrico, il C. si atteggiò a partigiano del nuovo sovrano di Polonia, fino al punto di entrare al suo servizio in qualità di capitano delle guardie. Come tale fece parte della scorta che, con Carlo IX e Caterina de’ Medici, accompagnò il principe fino ai confini del regno di Francia (dicembre 1573).

Fu quella una buona occasione, in una corte così ristretta, per riferire all’ambasciatore di Filippo II le conversazioni “al vertice”, informarlo sulle lettere intercettate, comunicargli che i consiglieri del re consideravano la possibilità di portare la guerra nei Paesi Bassi. Il C. seguì Enrico fino alle terre del Palatinato, ma non sembra si sia spinto sino a Cracovia. Lasciò forse intendere che i suoi servigi sarebbero stati più utili in Francia.

Dal febbraio 1574 il C. è di ritorno a Parigi, avverte don Diego che è stata conclusa un’alleanza fra il conte del Palatinato, il principe d’Orange e Luigi di Nassau.

La prospettiva di un conflitto nei Paesi Bassi aveva spinto i giovani e turbolenti principi Enrico di Navarra, Luigi di Condé e il duca di Alençon, il più giovane dei fratelli del re, a lasciare clandestinamente il regno con la protezione degli ugonotti, per cercare l’avventura. Bonifacio de La Mole, intimo di Francesco d’Alençon, denunciò l’impresa alla regina: i giovani furono messi praticamente in stato d’arresto, ma il fatto che i protestanti avessero partecipato a questo “complotto” creò nella capitale un’atmosfera di terrore, che ricordava quella delle settimane precedenti la strage di S. Bartolomeo.

In questo momento il C. rientrava a corte e, sollecitato dal La Mole, entrava al servizio del duca d’Alençon. Alle sue attività spionistiche stava per aggiungere quelle di cospiratore. Erano riprese le riunioni aventi lo scopo di far evadere Francesco d’Alençon a Sedan. Durante il marzo 1574 si tennero conciliaboli nelle abitazioni del La Mole e del C. a Pont-Saint-Michel. Il C. aveva l’incarico, insieme con un certo capitano Saint-Martin, di riunire duecento cavalli. Caterina de’ Medici era informata, da una spia, di tutti i preparativi e, dal 7 aprile, il re e sua madre adottarono misure di sicurezza. Gli arresti iniziarono l’indomani. Nascosto nel convento del Grands-Augustins, il C. fu scoperto il giorno 10 e incarcerato nelle prigioni del palazzo con gli altri congiurati. Il re di Navarra e il duca di Alençon erano prigionieri a corte. Il processo iniziò subito.

Tutto il mese di aprile fu preso da deposizioni, interrogatori, confronti. Il La Mole si rinchiuse in un atteggiamento di mutismo e di diniego finché poté resistere alle sofferenze della tortura. Meno scrupoloso, il C. parlò molto incolpando i capi della cospirazione, il Turenne, il Condé, il duca di Bouillon e soprattutto quello stesso duca di Montmorency che, a conoscenza dell’intrigo, aveva cercato di dissuaderlo. Non smise di raccomandarsi al re, indirizzandogli anche una lettera per metterlo in guardia circa la situazione nelle piazzeforti dell’Est. Tentò di sfuggire alla pubblica infamia invocando la sua qualità di “gentiluomo straniero”.Dichiarati colpevoli di lesa maestà il 30 apr. 1574, i due congiurati furono immediatamente decapitati nella piazza di Grève, nonostante le suppliche del duca d’Alençon.

Il C. mostrò grande coraggio davanti alla morte, giustificando così l’opinione di Carlo IX che, pur dichiarandolo “un cattivo uomo”, lo riteneva uno dei più coraggiosi del regno. La scena finale delle sue avventure, e la più suggestiva, riecheggia in Le rouge et le noir di Stendhal: la regina di Navarra e la duchessa di Nevers avrebbero preso il lutto, l’una per il La Mole e l’altra per il C., sottratto i loro corpi per seppellirli nella cappella di St-Martin sotto Montmartre, fatto imbalsamare le loro teste per conservarle presso di loro.

Fonti e Bibl.: Parigi, Arch. nat., K 1532, 1533, 1535; Ibid., Bibl. nat., Cabinet des mss., Pièces orig. 794, fasc. “Coconato”; F. Boyvin Du Villars, Mémoires…, Paris 1838, pp. 338-345, 359; P. de Brantôme, Discours sur les colonels de l’infanterie de France, a cura di E. Vaucheret, Paris 1973, p. 157; Id., Oeuvres complètes, a cura di L. Lalanne, IX, Paris 1876, p. 122; S. Goulart, Mémoires de l’Estat de France sous Charles neufiesme…, III, Meidelbourg 1578, passim; V. de Brimont, Le XVIe siècle et les guerres de la Réforme en Berry, I, Paris 1903, p. 430; P. Champion, Charles IX, II, Paris 1939, passim; F. Decrue, Le parti des politiques au lendemain de la SaintBarthélemy, Paris 1892, p. 159-203.