Cocconato Uberto
(Oberto) di A. A. Settia in Dizionario biografico degli italiani, Cfr. www.treccani.it
Fratello di Bonifacio, vescovo eletto di Asti dal 1244 al 1260, e di Alemanno Emanuele e Guido.
Non è possibile stabilire la relazione di parentela, che certamente vi fu, tra il C., Uberto “Comes Grassus” e il nipote di questo Uberto. Una raccomandazione papale del 1264 rivela che il conte Oddone di Valperga era suo nipote, ma di tale parentela non si hanno altre notizie e si può credere fosse acquisita attraverso matrimoni fra membri delle due casate. Carlo I d’Angiò si rivolge al C. chiamandolo suo consanguineo, ma si tratta probabilmente di un semplice atto di deferenza. Non si sa su quali elementi il Malabaila, da cui attinge l’Ughelli, abbia potuto dire che il C. era figlio di un Alteramus signore di Montaldo d’Astisio (oggi Roero); un tale nome risulta del tutto estraneo alla tradizione familiare dei Cocconato, mentre può avere qualche fondamento il legame, se non con Montaldo (venuto in possesso dei Cocconato proprio per l’acquisto fattone dal C.), con la zona dell’Astisio dove ebbe possessi sino al 1240 l’Uberto nipote di Uberto “Comes Grassus”. Il canonico di Asti “obertus de Cocona” attestato in un documento del 9 giugno 1222 pubblicato fra le carte dell’Archivio capitolare di Asti – in cui sarebbe forse stato possibile riconoscere il C. – è in realtà “Obertus de Catena”, personaggio che fu in quel periodo effettivamente canonico e poi vescovo di Asti. Non trova alcuna conferma documentaria nemmeno la qualifica di “arcidiacono Astense” attribuita al C. in un tardo obituario della cattedrale di Asti e accolta dall’Ughelli.
Si deve dunque ammettere che nulla è possibile sapere del C. prima che egli compaia presso la corte papale di Roma, dove egli sarebbe stato introdotto in grazia della parentela con il cardinale Ottone di Tonengo (1227-1251), con cui, peraltro, mancano attestazioni di contatti personali.
La prima notizia che riguardi il C. è dell’8 nov. 1256, allorché, come suddiacono cappellano di papa Alessandro IV, egli risulta presente ad una sentenza emessa dal cardinale Ubaldini; il 15 luglio, in occasione analoga, sottoscrive con il titolo accademico di magister che spettava, com’è noto, a coloro che avevano completato gli studi giuridici. Né doveva più essere giovanissimo se il papa, sin dall’anno successivo, ritenne di potergli affidare numerose missioni diplomatiche di un certo impegno: nel 1257, come rettore del Patrimonio in Tuscia, fu incaricato di occuparsi dei beni del vescovo di Volterra; nello stesso anno era nunzio papale a Milano; l’anno successivo venne incaricato dal papa di sottoporre il comitato di Gubbio – di cui era stato per qualche tempo rettore – al Comune di Perugia; nel gennaio del 1259 fu nuovamente “delegato della sede pontificia” in Toscana. Non per questo cessò di presenziare a giudizi emessi da vari cardinali, mentre già nell’ottobre del 1257 il papa approvava sentenze su questioni di benefici ecclesiastici formulate personalmente dal Cocconato. Sin dall’inizio della sua attività romana egli appare inserito nella familia del cardinale Ottaviano degli Ubaldini con il quale collaborò costantemente e alla cui protezione egli probabilmente fu debitore della nomina a cardinale.
Il 24 dic. 1261, ad opera di Urbano IV, il C. venne infatti creato cardinale diacono di S. Eustachio, come ricordano numerosi documenti coevi. Nella notizia che l’arcivescovo di Rouen dava dell’avvenimento a re Luigi IX di Francia, il C. e gli altri tre italiani elevati con lui alla porpora sono definiti “uomini modesti e timorati”; Lovel, procuratore del re d’Inghilterra, sottolineava la sua appartenenza alla familia dell’Ubaldini; Guglielmo di Vaucouleur lo dirà “Lombardus nomine, stirpe potens”.
Sull’identificazione del cardinale di S. Eustachio, creato daUrbano IV si equivocò a lungo. Forse proprio a causa della sua appartenenza all’entourage dell’Ubaldini, il C. fu ritenuto membro della famiglia dei conti di Elci di Siena. Benché il Malabaila, l’Ughelli e il Della Chiesa avessero sin dal secolo XVII esattamente indicato in quella dei conti di Cocconato la famiglia di appartenenza del nuovo porporato, la storiografia preferì rifarsi alle errate conclusioni del Ciacconio sino alla prima edizione della Hierarchia dell’Eubel che reca ancora “Hubertus e comitibus de Ilcio”, seguito dal Redlich. La questione venne chiarita dal Jordan nel 1900, e la sua soluzione fu poi accolta, pur con una residua incertezza, dall’Eubel nella seconda edizione della sua Hierarchia, mentre persino autori come il Gabotto e il Tallone continuarono ad ignorare l’identità vera del card. Uberto di S. Eustachio, già nota invece allo Sternfeld nel 1905, e sulla quale, grazie ai numerosi documenti oggi editi, non è ormai più possibile avanzare alcun dubbio.
La prima sottoscrizione del C. come cardinale è del 23 genn. 1262. I registri di Urbano IV nel biennio 1263-1264 attestano una sua intensa attività come uditore e giudice in numerose controversie relative alla concessione di dignità ecclesiastiche e dei relativi benefici, oltre che in Italia, in Spagna, Francia e Inghilterra. Una decina sono le raccomandazioni papali volte ad ottenere prebende e canonicati a nipoti del C. o a componenti della sua familia cardinalizia. Fra i membri di questa vi erano francesi – come i cappellani Alano di Montecontor e Pietro detto “Carpinazio” – insieme con un “povero chierico” milanese, Ardighetto de Belasto; ma sin da quando il C. era cappellano papale e familiare di Ottaviano Ubaldini si trovavano attorno a lui persone di provenienza subalpina come Pietro di San Sebastiano e “Maczia”, canonico di S. Secondo di Asti; non deve dunque stupire se il numero di costoro predominasse nella sua familia che comprendeva Giacomo di Tonengo, cappellano del papa, Giorgio di Tonengo, canonico di Dublino, un magister Symon, canonico di Vercelli e scriba papale, Carrando, arciprete della pieve di Grana in diocesi d’Asti, Guglielmo, arcidiacono di Ivrea, Guido di Aramengo, prevosto di Chieri, nonché un arciprete di Quargnento in diocesi di Acqui. Più tardi saranno cappellani del C. anche Boemondo di Vezza e Ardizzone di Trino, il primo già procuratore di Corrado di Cocconato vescovo di Asti. Tra i nipoti, per i quali il C. chiese ed ottenne prebende in Inghilterra e in Spagna, vi sono Alberto e Bonifacio di Cocconato (in seguito canonici ad Asti), Raniero di Cocconato, e un Uberto, fratello di Oddone conte di Valperga. Tutto ciò sta ad indicare gli intensi rapporti che in ogni tempo della sua vita il cardinale continuò ad intrattenere con i luoghi e con la famiglia di origine.
Dopo il pontificato di Urbano IV le notizie sul C. si fanno meno abbondanti, dando l’impressione che egli abbia lasciato da parte la funzione di giudice ecclesiastico per tornare ad interessarsi più da vicino di questioni politiche. Nel 1265 prese sotto la sua protezione la Chiesa di Salamanca, per cui verrà remunerato con 150 marabutini d’oro; il 13 dicembre dell’anno successivo entrò in contatto con Carlo d’Angiò, da poco creato re di Sicilia, per trattare la restituzione delle terre che egli aveva strappato alla sede episcopale di Asti. Nel corso delle trattative, che si conclusero soltanto nel 1270, il cardinale trovò modo di acquistare per suo conto alcuni dei luoghi contestati. A questo fine servì forse la somma di 833 lire astesi che prestatori fiorentini consegnavano a Bonifacio di Cocconato, prevosto di Asti e fratello del C., nel luglio del 1267. L’operazione non avvenne tuttavia senza difficoltà, poiché i signori di Sommariva rifiutarono di consegnare il castello acquistato dal cardinale insieme con Pocapaglia e Montaldo. È questo uno dei momenti in cui si intravede in modo abbastanza scoperto la collusione esistente fra i diversi prelati appartenenti alla casa dei Cocconato a vantaggio della propria famiglia.
Alla morte di Clemente IV (29 nov. 1268) l’influenza politica del C. all’interno del Collegio cardinalizio – diviso fra la tendenza angioina e quella imperiale nel corso del conclave di Viterbo conclusosi solamente nell’anno 1271 – ebbe peso per l’elezione al pontificato di Gregorio X. Pur continuando sporadicamente nella sua attività di uditore nelle cause per l’assegnazione di benefici (due sue sentenze isolate sono attestate nel 1267 e nel 1272), il C. si impegnò soprattutto nel campo politico. Divenne uno dei sostenitori della parte imperiale contro l’invadenza angioina, con preciso riferimento alla situazione dell’Italia nordoccidentale, in cui si faceva particolarmente sentire in quel momento l’iniziativa ghibellina di Guglielmo VII di Monferrato. Proprio del C. sono le lettere rivolte al nuovo imperatore Rodolfo d’Asburgo nel novembre-dicembre del 1274 per sollecitare protezione e aiuto contro l’Angiò in Piemonte, mentre Gregorio X mostrava di favorire il re di Sicilia, senza sconfessare i precedenti contatti con Alfonso di Castiglia dal quale giunsero concreti aiuti per Asti e Monferrato. Ad Alfonso i potentati piemontesi finirono per aderire distruggendo il 10 novembre dell’anno successivo, con la battaglia di Roccavione, il dominio di Carlo d’Angiò in Piemonte; questa va dunque vista come risultato ultimo dei maneggi del Cocconato.
Nello stesso 1274, secondo i desideri di Gregorio X, e per la prima volta in modo veramente universale, venne organizzata una raccolta di decime in vista di una futura crociata. Due cappellani del C. vennero eletti, l’uno, Boemondo di Vezza, collettore in Scozia, e l’altro, Ardizzone di Trino, collettore in Lombardia. È questa una delle poche informazioni che si posseggano sugli ultimi anni di vita del cardinale il quale dal 1274 al 1275 soggiornò in Lione per seguire i lavori del concilio. Il 28 giugno 1275 il pontefice lo incaricò di scrivere a suo nome all’arcivescovo di Canterbury; questa è l’ultima notizia che si ha del C. vivo. Egli morì, secondo l’Eubel, il 13 luglio 1276.
Una nota introdotta, forse fra 1330 e 1350, in un obituario astigiano informa che aveva lasciato a quella Chiesa la somma di 900 lire astesi per l’erezione di una cappellania; egli legava inoltre una croce d’oro contenente parte della vera croce e paramenti preziosi, con l’ordine di distribuire 12 denari ad ogni canonico presente al suo anniversario. Ben maggiori sembrano i beni che lasciò ai fratelli e ai nipoti, come si apprende da un arbitrato del 19 marzo 1277. I fratelli Bonifacio, Alemannoed Emanuele, e i nipoti Bonifacio e Uberto (a quest’ultimo appartenne probabilmente il sigillo descritto dal Promis nel 1870), figli del quinto fratello del C., Guido, già defunto, si divisero gli acquisti fatti dal cardinale in Pocapaglia, Montaldo, Ceriale, Casalotto, Primeglio e Schierano. Ad Alemanno, che aveva gestito il patrimonio familiare negli ultimi venticinque anni, spettarono 500 lire astesi per pagare i debiti comuni contratti sino alla morte del Cocconato.
Al di là della sua attività curiale e del talento diplomatico – di cui diede prova nella politica internazionale del suo tempo – il C. fu dunque uno dei principali fattori che contribuirono all’incremento del prestigio e della potenza economica del Cocconato, base indispensabile delle successive fortune del consortile.
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