Cantoni Gaspare
(Cantono) di G. Dondi in Dizionario biografico degli italiani, Cfr. www.treccani.it
Nato in Lombardia o in Piemonte verso la metà del sec. XV, fu attivo come tipografo a Milano e a Casale attorno al 1480; di lui non ci sono pervenute notizie biografiche se non quelle, scarse e frammentarie, che sono desumibili dalle sue edizioni.
Il C. fu creduto d’origine milanese o almeno lombarda solo perché un altro Cantoni, di nome Aiolfo, stampatore a Napoli dal 1491 al 1496, si sottoscrisse come Mediolanensis. Tuttavia non si possono escludere anche altre provenienze, perché famiglie Cantoni, Cantone o Cantono sono registrate in varie località del Piemonte, tra cui Asti, Alessandria e Vercelli. L’arrivo del C. in Casale, documentato da una sottoscrizione in versi che si leggeva in calce a un’edizione in volgare, ora irreperibile, del De arte amandi di Ovidio, stampata in urbe Casali vivente Guglielmo VIII di Monferrato, andrebbe posto dopo il 19 apr. 1474, giorno nel quale la capitale del marchesato divenne sede vescovile e assunse il titolo di città, e prima del 28 febbr. 1483, giorno della morte del marchese. Poiché però anteriormente al 6 sett. 1481 e fino al 22 marzo 1482operò in Casale l’officina di Guglielmo Canepanova e Antonio Corsiono, il periodo di possibile permanenza del C. nel dominio dei Paleologi si restringe ulteriormente, essendo improbabile la coesistenza di due botteghe tipografiche in una località pur sempre modesta anche se sede di una corte marchionale. Tenuto poi conto che almeno qualche mese prima del 9 nov. 1480 il C. doveva trovarsi in Milano per preparare la pubblicazione di un Esopo latino, unica opera datata pervenuta fino a noi che porti il suo nome, si dovrebbe concludere che la stampa della traduzione del De arte amandi sia avvenuta o nel periodo precedente (1474-1480) o nell’anno compreso tra la chiusura dell’officina del Canepanova e la morte di Guglielmo VIII (1482-1483).La prima ipotesi ha un riflesso immediato sulla storia di Casale, che potrebbe vantarsi di aver dato inizio all’attività tipografica con qualche anno di anticipo rispetto al 1481, data comunemente accettata dalla tradizione, ma non spiega, anzi allunga, il periodo di inattività al quale il C. sarebbe stato costretto dal 1480 circa al 4 maggio 1485, quando apparve in Milano un Sallustio non firmato ma da alcuni attribuito al suoi torchi; la seconda mostrerebbe nell’officina una maggiore continuità di lavoro ma solleva altri interrogativi che riguardano sia il trasferimento del tipografo a Casale e il successivo ritorno a Milano sia la scelta di un testo che poteva stamparsi con minor dispendio e con più sicuro successo stando nella sede d’origine. Sembra d’altra parte improbabile che il C. abbia intrapreso la carriera di stampatore pubblicando proprio nella “devota” Casale un libro così frivolo, che per l’addietro era stato edito solo in grandi città e senza segnalazione dell’officina tipografica. Pare quindi più credibile che la sua prima opera sia stata l’edizione milanese dell’Esopo, che egli faceva apparire – e anche questa circostanza suscita motivi di sorpresa – ad appena un mese dopo l’ultima ristampa di Filippo da Lavagna.
L’apertura della nuova bottega a Milano avveniva al termine di un anno che fu certamente il più fecondo per l’attività tipografica milanese del Quattrocento, ma la concomitanza con il colpo di Stato di Ludovico il Moro nocque allo sviluppo della piccola azienda. Il forte calo della produzione libraria del periodo immediatamente successivo, originato forse dall’incertezza seguita a quell’avvenimento, portò in breve tempo alla chiusura delle più recenti officine, che erano anche le più deboli economicamente, come quelle di Paolo Suardi, Pietro da Corneno e Simone Magnago. Non sfuggì alla stessa sorte il C., il cui passaggio dalle pubblicazioni scolastiche – dopo l’Esopo fu la volta di un Donato uscito adespoto ma concordemente a lui assegnato – al genere frivolo potrebbe rappresentare un tentativo di ritardare la fine. Sull’attribuzione ai suoi torchi anche del Sallustio del 1485 non vi è unanimità di consensi, perché secondo alcuni i caratteri di stampa si richiamano piuttosto a quelli di Leonardo Pachel e Ulrico Scinzenzeler, le due personalità più salienti della tipografia milanese degli ultimi venti anni del Quattrocento, nella cui sfera d’influenza, del resto, potrebbe esserestato attratto anche il Cantoni.
Bibl.: Si devono a G. Vernazza (Osservazioni letterarie specialmente di storia tipografica, uscite postume col titolo Diz. dei tipografi e dei principali correttori ed intagliatori…, Torino 359, pp. 93 s.) le prime notizie sul C.: esse si fondano principalmente sulla segnalazione da un catalogo di antiquariato dell’edizione dell’Esopo del 1480 e sull’informazione della scoperta, fatta da Iacopo Morelli nella Biblioteca Marciana di Venezia, di un esemplare della traduzione del De arte amandi di Ovidio. Riprese l’argomento G. Manzoni, Annali tipografici piemontesi del secolo decimoquinto, in Riv. enc. ital. di Torino, s. 2, V (1856), pp. 776-781, che, confutata l’opinione di chi voleva il C. vercellese e fratello del “sacer Augustinus”, collaboratore per l’edizione casalese, avanzò l’ipotesi che fosse milanese e avesse operato in Casale prima del 1480. F. Valerani, I primordi della stampa in Casale e i tipografi casalesi, in Riv. di storia,arte archeol. della prov. di Alessandria, XXIII (1914), pp. 44-48, ripeté le precedenti notizie non senza trovare modo di insinuare qualche dubbio sulla veridicità della primitiva informazione del Morelli. Oggi la segnalazione non è più discussa, ma nell’interpretarla non si può non considerare anche l’ipotesi della falsa indicazione tipografica di Casale. K. Haebler, Typenrepertorium der Wiegendrucke, II, Leipzig-New York 1908, p. 45, descrive il carattere gotico usato per l’edizione dell’Esopo. L’Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d’Italia, I-V, Roma 1943-1972, cita tre opere del C. o a lui attribuibili: l’Esopo (n. 72), il Donato (n. 3552) e il Sallustio (n. 8547); ma l’ultima è da I. Collijn, Katalog der Inkunabelen der Kgl. Bibliothek in Stockholm, I, Stockholm 1914, n. 952, assegnata a L. Pachel e U. Scinzenzeler. Nessun repertorio ricorda invece l’edizione volgare del De arte amandi, che pertanto è da considerarsi perduta.