Cane Beatrice

di *, in Dizionario biografico degli italiani, Cfr. www.treccani.it

Moglie del condottiero Facino Cane, passata poi a seconde nozze con il duca Filippo Maria Visconti e chiamata da tutti i cronisti contemporanei con il solo nome di B., è comunemente nota come “B. di Tenda”.
Così la denominò per primo il Corio nella sua Storia di Milano. Dopo di lui tutta la tradizione, fino agli storici più recenti, la considerarono appartenente alla famiglia Lascaris, figlia secondo alcuni di Antonio conte di Tenda e di Margherita del Carretto dei marchesi di Finale, secondo altri del conte Guglielmo Pietro, o ancora del conte Pietro Balbo, e, sempre con ogni probabilità, di una del Carretto; si giunse anche, nel desiderio di sempre maggiore precisione, a ipotesi assai forzate, come quella del Rossi, che identìficò B. con una Caterina Lascaris, sposatasi nel 1403, la quale avrebbe cambiato nome solo per compiacere lo sposo – peraltro mai nominato – che quel nome aveva in odio.
Contro la tradizionale identificazione di B. con una Lascaris sta un documento – già pubblicato dal Volta nel 1895, ma solo recentemente segnalato dal Cognasso (Chi sia stata B. di Tenda, pp. 111 ss.) come determinante per la risoluzione del problema, una procura di B. stessa per la trattazione di affari concernenti i beni ereditati dal padre in Genova, nella quale essa è chiamata figlia ed erede di Ruggero Cane, cioè di quel condottiero che, appartenente verosimilmente alla stessa famiglia di Facíno, anche se non si sa in quale grado di parentela, intimo di Giovanni Acuto, era stato lungamente al servizio prima di Bernabò, poi di Gian Galeazzo Visconti. Il Cognasso conferma tale identificazione con la notizia contenuta in una lettera diretta a B., divenuta duchessa di Milano, da Giorgio Adorno per annunciarle la sua elezione a doge di Genova (marzo 1413): quest’ultimo ricorda, l’amicizia di suo fratello Antoniotto e in genere della sua famiglia con il padre e con il primo marito di lei, conte di Biandrate (ed. Rossi, p. 140). Ora, se delle relazioni di quest’ultimo con Antoniotto fa cenno anche un’altra lettera dei doge Giorgio Adorno del 7 apr. 1413 ai nipoti di Facino, Manfredo e Ludovico (cfr. A. Pesce, Il grado di parentela tra Facino e Ludovico Cane, in Bollett. storbibl. subalpino, XVII[1912], p. 134), ed è noto che egli passò dal servizio dei Visconti a quello degli Adorno nel maggio 1395, restandovi alcuni mesi (cfr. Valeri, pp. 66 ss.), per Ruggero di sicuro si sa solamente che era stato inviato il 20 nov. 1394 a Genova da Enguerrand de Coucy, capo della spedizione francese diretta alla conquista della città, per iniziare trattative con l’Adomo e che a Genova si era trattenuto fino al 16 dicembre dello, stesso anno (cfr. E. Jarry, Les origines de la domination française à Gênes [1392-1402], Paris 1896, pp. 100 s., 107); anche se è l’unico episodio noto può forse già giustificare l’accenno della lettera del doge e anche spiegare la presenza di quei beni in Genova, indicati dalla procura. Il Cognasso ricorda anche il giudizio del Decembrio (p. 20) che giudica B. non degna, per nascita, di Filippo Maria: se è possibile pensare che ai suoi occhi la nobiltà dei Lascaris potesse sembrare molto inferiore a quella dei Visconti, è chiaro però che le sue parole si spiegano molto meglio con il disprezzo per la famiglia dei condottieri Cane, provenienti tutt’al più dalla piccola nobiltà municipale. La stessa autorità che B. mostrerà di avere sulle truppe, al momento della morte di Facino, risulta più chiara pensandola nella figlia di un altro condottiero, le cui forze erano forse state conglobate nell’esercito del parente.
L’individuazione della famiglia di B. non ha però portato luce né sul luogo né sulla data della sua nascita, posta in genere nel 1370 0 1372, a quanto sembra senza nessun preciso fondamento, ma solo sulla vaga testimonianza delle fonti, che la dicono molto più anziana del secondo marito (nato nel 1392), del quale, secondo alcuni, avrebbe potuto essere per l’età, madre (Billia, col. 37). Non si conosce neppure la data del suo matrimonio con Facino, posta approssimativamente nel 1395 da chi pensava si trattasse di una Lascaris, conosciuta`dal condòttiero nel periodo in cui combatteva intorno a Genova.
Quanto alla vita di B. con Facino, soltanto fantasie appaiono le notizie sul benefico influsso che essa avrebbe esercitato sul rozzo marito, sull’amore che questi le avrebbe portato, e in genere sulla sua bontà e gentilezza d’animo: fantasie elaborate forse in parte sopra una espressione di Antonio di Ripalta, che negli Annales Placentini (col.871) ricorda come durante l’occupazione di Piacenza da parte di Facino B. facesse molte elemosine, espressione che è probabilmente poco più di un luogo cornune, come prova la ripetizione fattane poco dopo a proposito dello stesso Facino. L’episodio, più che illuminante per le doti di B., è interessante come testimonianza della sua presenza presso il marito, a fianco del quale tenne un posto di un certo rilievo politico, di cui resta traccia nel cronista piemontese quasi contemporaneo, Gioffredo della Chiesa, che fa dire a Facino come sua moglie conoscesse tutte le pratiche dello Stato, e come sembrano provare del resto, in modo implicito ma abbastanza chiaro, le altre fonti che parlano del matrimonio di B. con Filippo Maria Visconti.
Il 16 maggio 1412 moriva a Pavia Facino Cane, pare poche ore dopo – il Decembrio e la Chronica Bossiana invertono gli avvenimenti – l’uccisione del duca di Milano Giovanni Maria Visconti; della città si impadronivano Estorre e Giovanni, mentre il fratello dell’ucciso, l’altro figlio di Gian Galeazzo, Filippo Maria, conte di Pavia, troppo debole per intervenire, rimaneva chiuso nel suo castello; determinante per la soluzione della caotica situazione dello Stato milanese fu il matrimonio dello stesso Filippo Maria con la vedova di Facino, di colui cioè che era, al momento della morte, il vero dominatore della Lombardia.
Il cronista Billia nella sua Historia ricorda dettagliatamente gli ultimi momenti di Facino e le vicende seguite immediatamente alla sua morte: il condottiero avrebbe raccomandato a Bartolomeo Capra, futuro arcivescovo di Milano, la moglie B., il giovane conte di Pavia, il. fratello Filippo, i parenti, i suoi compagni d’arme; lo stesso Capra e Antonio Bozzero, castellano di Pavia, subito dopo la morte di Facino avrebbero dato a Filippo Maria il consiglio di sposarne la vedova. Il Decembrio fa solo il nome del Capra fra i consiglieri del matrimonio. Le altre cronache, invece, attribuiscono concordemente, variando solo nei particolari, allo stesso Facino il progetto del matrimonio come unico mezzo per Filippo Maria di ottenere il ducato di Milano, ma non è impossibile che la notizia fosse stata inventata e diffusa per giustificare, forse anche alla luce della successiva condotta del duca verso la moglie, quel matrimonio così interessato.
Facino lasciava in eredità a B. una cospicua somma, che si fa ammontare a 400.000 ducati, e vastissimi territori, tra cui le città di Alessandria, Novara, Tortona, Vercelli, su cui però si appuntavano anche le pretese dei suoi parenti, cioè il fratello Filippo e i nipoti Ludovico e Manfredi (cfr. Cognasso, Il ducato…, p. 161); per ottenerli s’imponeva. quindi. a Filippo Maria una rapidissima decisione. Inoltre l’esercito di Facino, con i suoi capitani, tra i quali il Carmagnola, esercito che solo poteva dare al conte di Pavia la possibilità di conquistare Milano, stava per disperdersi passando in parte agli ordini di Pandolfo Malatesta, in parte a quelli di Estorre Visconti, e solo tramite B. poteva essere portato agli ordini di Filippo Maria: il particolare fornito dal Billia (Col., 37), che proprio il ricordo del, giuramento prestato non solo a Facino, ma anche alla moglie, si dimostrasse essenziale per rinsaldarne le file, se pure non altrimenti confermato, indica tuttavia l’ascendente che B. godeva sulle truppe e la sua posizione di prestigio accanto al primo marito.
Pertanto, se vi furono da ambedue le parti quelle esitazioni di cui parlano le cronache, dovute soprattutto alla differenza d’età dei futuri coniugi, esse dovettero essere ben presto superate, risultando chiari i vantaggi non solo di Filippo Maria, ma anche della stessa B., la quale difficilmente da sola avrebbe potuto conservare i propri domini. Il matrimonio dovette infatti essere concordato nei giorni immediatamente successivi alla morte di Facino, se già il 21 maggio la notizia del fidanzamento, insieme con quella dell’assunzione da parte di Filippo del titolo di duca di Milano, veniva inviata ad Amedeo VIII di Savoia (cfr. F. Gabotto, n. 318, p. 258).
Quando e dove il matrimonio sia stato celebrato non si sa con certezza; il luogo fu probabilmente Pavia (il Paiodi prospetta l’ipotesi di Abbiategrasso, ma senza documentarla); quanto all’epoca si potrà pensare alla fine di maggio o ai primi di giugno, dato che nei conti del tesoriere del comune di Vigevano per i mesi di aprile, maggio e giugno 1412 si parla di una lettera di B. “de matrimonio facto” con il duca di Milano (cfr. Parodi, p. 71) e che in un documento del 17 giugno essa compare con il titolo di duchessa di Milano (ed. Rossi, p. 139); alcuni, seguendo il cronista Bossi, datano le nozze al 24 luglio, ravvicinandole – e confondendole – con. l’entrata solenne dei duchi in Milano che avvenne sicuramente nella seconda metà di lugho, quando già Filippo Maria aveva affermato il suo potere nella città (cfr. Cognasso, Il ducato…, pp. 156 ss.).
Della vita di B. anche dopo il secondo matrimonio poco dicono le fonti coeve: la sua residenza abituale fu Mílano, dove viveva nel castello di Porta Giovia (cfr. Volta, pp. 295 ss.); abitò anche saltuariamente ad Abbiategrasso e a Binasco. Quanto ai rapporti tra i coniugi, gli storici pensano generalmente che nei primi tempi siano stati buoni, secondo alcuni addirittura affettuosi.
Dei contemporanei il Decembrio, che dà un giudizio negativo di B. (“procax atque avara”), dice che il marito la sopportò a lungo, ammettendola al suo cubicolo e alla sua mensa “velut pedotriba”; l’espressione di “ancillae nomen atque officium” ad indicare la condizione in cui si sarebbe trovata la duchessa nei confronti del marito si incontra anche nel discorso che il Billia mette in bocca a B. prima della morte: espressioni probabilmente eccessive, dovute forse, nel Decembrio, al desiderio di sminuire la figura di B. nei confronti del duca, e nel Billia, lei favorevole e fautore della sua innocenza, quello di dimostrare la fedeltà della donna al marito. Solo il cronista tedesco Windeck, biografo dell’imperatore Sigismondo, molto polemico contro il Visconti ma forse più libero nel giudizio, in quanto in nessun modo legato all’ambiente milanese, asserisce che il duca, propenso a rapporti contro natúra, non amò mai la moglie. Certamente alle espressioni di affettuosa gratitudine e insieme di riconoscimento della pura e sincera fedeltà di B., rintracciabili nei documenti (cfr. Osio,II, p. 27), non si dovrà dare un valore troppo preciso, trattandosi in parte di formule, ma esse sono comunque interessanti per l’esplicito riconoscimento da parte di Filippo Maria del debito di gratitudine verso la moglie e insieme come testimonianza dell’importanza che essa continuava ad avere nella vita politica di Milano.
B. ebbe signoria diretta su molti luoghi (sembra tuttavia che anche per quelli eredítati da Facino ricevesse una nuova investitura dal Visconti), tra cui si ha testimonianza per Vigevano, Abbiategrasso, Pontecurone, Voghera, Mortara, Monza, che, dopo la conquista dalle mani di Valentina Visconti, le venne donata dal duca il 2 genn. 1414. E ancora indicativi del suo potere sono l’unione del suo nome a quello del marito nella lega stretta con Teodoro di Monferrato (12 luglio 1412); l’invio da Pavia di oratori non solo a Filippo, ma anche a lei (25 ag. 1412); la conferma dell’investitura di Sezze, fatta prima insieme con il marito (14 maggio 1413), poi da sola (10 giugno 1414); l’opera svolta a favore di Asti nel 1415; forse di minore importanza, in quanto più legata alla prassi, delle relazioni diplomatiche, la lettera dell’imperatore Sigismondo del 25 luglio 1415 indirizzata al duca e a B. (su tutto questo cfr. la nota all’ediz. del Decembrio, pp. 232-234). Risulta evidente, tuttavia, che il peso politico di B. alla corte di Milano doveva diminuire col progressivo rafforzamento del potere di Filippo Maria. Non è escluso quindi che il desiderio di eliminare interferenze alla sua autorità abbia influito sulla decisione del duca di liberarsi della moglie; non manca una testimonianza – si tratta ancora del cronista tedesco – che vede la causa della condotta del duca nei rapporti che B. avrebbe avuto con gli ambasciatori di Sigismondo, venuti a Milano nel febbraio 1418; la notizia, anche se non confermata, è tuttavia indicativa di una voce diffusa, sia pure in ambiente ostile al Visconti, sui tentativi di B. di conservare un’importanza politica e forse di svolgere una propria azione; e in questo senso potrebbe anche intendersi l’altro particolare, riferito dalla stessa fonte, che nell’arresto di B. avesse parte il Carmagnola (purtroppo sui rapporti tra la vedova del condottiero e l’antico capitano di Facíno non conosciamo null’altro salvo la notizia alquanto fantasiosa, della cronaca del Redusio secondo la quale insieme col condottiero B. avrebbe riconquistato Alessandria ribellatasi); e forse ancora in questo senso l’accenno del Billia al sospetto di veneficio, che si aggiunse all’accusa di adulterio, determinando l’arresto di Beatrice.
Certamente, però, contribuirono alla decisione del duca di liberarsi della moglie anche la differenza di età dei coniugi e la mancanza di eredi, insieme con probabili mene di cortigiani, che forse avevano già messo al suo fianco Agnese del Maino; la decisione comunque appare improvvisa, anche se qualcuno ha voluto vedere in una lettera di B. del 27 luglio 1418 una testimonianza delle tristi condizioni in cui ormai essa era costretta a vivere (cfr. Maiocchi, p. 473). B. fu fatta arrestare a Milano il 23 ag. 1418 sotto l’accusa di adulterio, trasportata nel castello di Binasco e ivi, su sentenza pronunciata dal giudice Gasparino de’ Grassi da Castelleone, fatta decapitare insieme con il presunto amante Michele Orombello e con le due ancelle che avevano testimoniato sulla sua colpa.
Della colpevoleiza di B. non dubita il Decembrio, che nel breve accenno dedicato all’avvenimento parla della confessione a lei estorta con la tortura. Il Billia afferma invece che essa, al contrario dell’Orombello, negò sempre la sua colpa, e nel tentativo di scagionarla, sembra ritenere che la condanna fosse dovuta prevalentemente all’odio che il duca aveva nutrito per Facino Cane, di cui. voleva ancora vendicarsi, cancellandone ogni memoria. La tradizione, salvo poche eccezioni, fu favorevole all’innocenza di B. (cfr. la nota all’ed. del Decembrio, pp. 234 s.), la quale a poco a poco acquistò fama di eroina romantica: la sua tragica fine offri soggetto di opere, romanzi, tragedie, tra cui si possono ricordare la tragedia di C. Tedaldi Fores, la B. di Tenda di Vincenzo Bellini, su libretto di F. Romani, i romanzi di D. Saluzzo Roero, di M. de La Fayette e di G. B. Bazzoni.
Fonti e Bibl.: Andreae de Billiis Rerum Mediolanensium historia, in Rer. Italicarum Scriptores, XIX, Mediolani 1731, coll. 36-39, 50-52; Andreae de Redusiis Chronicon Tarvisinum, ibid., coll.810 s.; Antonii de Ripalta Annales Placentinii ibid., XX, Mediolani 1731, col. 871; P. C. Decembrii Vita Philippi Mariae, III Ligurum ducis, in Rer. Italie. Script.,2 ediz., XXI, 1, a cura di A. Butti, F. Fossati, G. Tetraglione, pp. 19 s., 170-177, 182-185, 208 nota, 215 nota, 232-236 note; Gioffredo della Chiesa, Cronaca di Saluzzo, in Monumenta historiae patriae, Scriptores, III, Augustae Taurin. 1840, col. 1057; D. Bossius, Chronica, Mediolani 1492, per Antonium Zarotum, ad annum 1412; P. Giovio, Vitae duodecim Vicecomitum Mediolani Principum, Lutetiae 1599, pp. 183, 187; Iohannis Stellae Annales Ianuenses, in Rer. Italic. Script., XVII, Mediolani 1730, col. 1242; E. Windeck, Denkwürdigkeiten zur Geschichte des Zeitalters Kaiser Sigmunds, a cura di W. Altmann, Berlin 1893, pp. 94 s.; B. Corio, Storia di Milano, a cura di E. De Magni, II, Milano 1856, pp. 542, 590 s. (nota); L. Osio, Documenti diplom. tratti dagli archivi milanesi, II, Milano 1869, pp. 1 s. nota 1, 2730; C. Magenta, I Visconti e gli Sforza nel castello di Pavia, I, Milano 1883, p. 306; A. Battistella, Ilconte di Carmagnola, Genova 1889, pp. 21 ss.; Z. Volta, Giuramento di fedeltà a B. Tenda duchessa di Milano, in Arch. stor. lombardo, XXII(1895), pp. 285-330; F. Gabotto, Documenti ined. sulla storia del Piemonte al tempo degli ultimi principi d’Acaia, in, Miscell. di storia ital., s. 3, III (1896), n. 318, p. 258, n. 379, p. 293; R. Maiocchi, Una lettera di B. di Tenda ai Pavesi in favore di Mortara, in Boll. d. Soc. pavese di storia patria, IV(1904), pp. 473 s.; A. Boffi e F. Pezza, La novennale signoria di Facino Cane e B. di Tenda sopra Mortara, ibid., V (1905), pp. 333, 336 s., 345 s.; G. Rossi, Un matrimonio nel castello dei Lascaris…, in Arch. stor. lombardo, XXXV (1908), pp. 129-140; P. Parodi, Notizie stor. del borgo di Abbiategrasso, Abbiategrasso s. d. [ma 1924], pp. 70 ss.; N. Valeri, La vita di Facino Cane, Torino 1940, pp. 129 ss.; L. Simeoni, Le Signorie, II, Milano 1950, pp. 613 s.; F. Cognasso, Il ducato visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria Visconti, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 151-155, 199; Id., Chi sia stata B. di Tenda, in Boll. storbibl. subalpino, LIV (1956), pp. 109-114; Encicl. Ital VI, pp. 445 s.