De’ Ferrari Giovanni senior

di M. Ceresa in Dizionario biografico degli italiani, Cfr. www.treccani.it

Figlio di Cristoforo, nacque da una famiglia originaria di Trino, presso Vercelli. È ignota la data di nascita. Il G., che era un agiato mercante, attratto dalla nuova arte, aprì a Trino nel 1508, sotto la protezione del marchese Guglielmo VII del Monferrato, una stamperia in caratteri gotici, che operò fino al 1523.
La famiglia proveniva da Milano e il suo nome d’origine era de’ Ferrari: Giolito sarebbe la conseguenza di un’unione familiare o un soprannome, forse derivante dal francese joli, riferito a qualche membro della famiglia in particolare rapporto con la Francia. A volte, nelle note tipografiche, i due cognomi si trovano invertiti.
Dalla stamperia trinese uscirono soprattutto grandi volumi di diritto, per un totale di circa cinquanta edizioni, quasi tutte in folio, con una tiratura di oltre 1000 esemplari ciascuna e una media di 180-190 carte per volume. Parecchie di queste edizioni furono finanziate dallo stesso G. e da G. Zeglio, originario di Vigevano, che aveva già avuto esperienze di società tipografica a Pavia con Giovanni da Legnano e che collaborò con il G. fino al 1521. Marca tipografica comune fu lo scudo tripartito con le lettere “I. G. S.”, cioè “Iohannes [et] Gerardus socii”.
La prima edizione conosciuta dei due è l’Opusculum de dote et dotatis mulieribus di B. Bartolini, recante la data del 14 apr. 1508. La scelta del campo del diritto, già sperimentata dallo Zeglio a Pavia, corrispondeva a una domanda del mercato, dato che pochi erano i tipografi disposti ad affrontare l’onerosa impresa di ripubblicare i testi dei grandi maestri del diritto. L’officina trinese, secondo un inventario conservato, redatto nel 1549 a oltre venticinque anni dalla sua chiusura, aveva una propria fonderia dove preparava i caratteri di cui aveva bisogno; di carta si riforniva molto probabilmente da una cartiera di Caselle Torinese. Dall’inventario risulta un gran numero di matrici e di casse di caratteri, mentre è piuttosto povero il materiale iconografico, tra il quale spicca una xilografia con un ritratto dell’Ariosto. è registrato un solo torchio, però con otto fraschette e sedici telai di stampa: dal numero elevato di fraschette e telai si deduce che vi dovessero essere più torchi, e che pertanto il personale dell’officina, tra operai, compositori, torcolieri e inservienti, dovesse essere piuttosto numeroso, tale da garantire una elevata capacità produttiva, valutata in certi periodi nella media giornaliera di almeno sette pagine formato in folio. Che l’officina fosse in attivo lo dimostrano i notevoli acquisti fondiari effettuati dal G. nel periodo d’oro della sua attività, dopo il 1520. I Giolito abitavano una delle più belle abitazioni di Trino, costruita in stile rinascimentale, e possedevano altre quattro case che davano in affitto.
La brusca cessazione dell’attività nel 1523 è da mettere in relazione, molto probabilmente, con la difficile situazione politico-militare del Monferrato, stretto tra i contendenti per il Ducato di Milano. Secondo il Bongi, dopo il 1523 il G. si sarebbe trasferito a Venezia (percorso, questo, comune a diversi i tipografi trinesi del XVI secolo), continuando l’attività, ma senza sottoscrivere con il suo nome le edizioni, pubblicate forse in società con Bernardino Giolito de’ Ferrari detto Stagnino, assai probabilmente appartenente alla stessa famiglia. Il Dondi pensa invece che il G., pur avendo aperto un’officina a Venezia, fosse spesso a Trino. In effetti, gli interessi del G. in Piemonte continuarono a essere rilevanti. Nel 1531 uscì a Torino, a spese del G., un’edizione dell’Antiphonarium Romanum impressa da P.P. Porro e nella città piemontese il G. si trasferì alla fine del 1534, aprendovi una stamperia in caratteri romani, dotata di un certo numero di illustrazioni, cornici e iniziali xilografiche, per uso dell’università, davanti alla quale si trovava ubicata. A Venezia, a badare all’officina che voleva evidentemente mantenere, lasciò il figlio Gabriele. Sempre a Torino nel 1535 costituì una società tipografica con M. Cravotto e I. Dolce. L’insegna della tipografia torinese furono i tre re magi, con il motto: “Stella duce reversi sunt ad propria”. L’impresa fu attiva sino al 1536, quando i Francesi s’impadronirono della città.
Il G. tornò allora a Venezia, dove nello stesso 1536 fece dare alle stampe le sue edizioni da A. Bindoni e nel 1538 dal bresciano B. Zanetti. Dal 1538, potendo disporre di un’attrezzatura propria proveniente dall’officina di Bernardino Stagnino, stampò a suo nome e inaugurò la marca raffigurante la fenice che risorge dalle fiamme, con il motto “Semper eadem”, che sarebbe divenuto l’emblema della tipografia giolitina, e le lettere “I. I. F.” (“Iohannes Iolitus Ferrari”). Il G. aveva aperto filiali anche a Roma, Napoli, Bologna e Pavia, e aveva creato una complessa organizzazione commerciale, con agenti anche a Casale Monferrato, Lione, Padova, Genova, Ferrara. Il corrispondente lionese era V. Portonari da Trino, e la bottega trinese fu importante tramite della produzione lionese verso l’Italia e di quella veneziana verso la Francia.
Nel 1539 il G. lasciò Venezia e si ritirò a Trino. Qui morì nel 1539 o nel 1540, lasciando un’immensa fortuna.
La questione della sua eredità fu abbastanza complessa, perché si era sposato tre volte e aveva avuto cinque figli maschi e un numero imprecisato di femmine. Dalla prima moglie, Guglielmina Borgominieri, aveva avuto Gabriele; dalla seconda, Beatrice, nacquero Giovanni Francesco e Facino. Un altro figlio, Giovanni Cristoforo I, si ignora se fosse figlio di Guglielmina o di Beatrice. Si era poi sposato per la terza volta, dopo la morte della seconda moglie, con Dorotea dei conti di Tronzano, dalla quale aveva avuto altri quattro figli.
Alcuni dei figli del G. rimasti a Trino, tra cui Giovanni Francesco, Giovanni Cristoforo e Facino (Bonifacio), nel 1560 ritentarono l’impresa editoriale a Trino, riaprendo l’officina paterna e riprendendo il carattere gotico del padre, ma con scarsi risultati, visto che stamparono un solo volume, l’Opera molto piacevole di G.G. Alione, con la falsa sottoscrizione “In Venetia” e senza il nome del tipografo. L’anno successivo Giovanni Francesco e Facino da soli stamparono le Eroidi di Ovidio. Poi scomparve anche Facino, e Giovanni Francesco stampò per conto proprio, dal 1562 al 1578, sostituendo il carattere gotico con tondi e corsivi dopo il 1563. La stamperia ebbe un’attività modesta, con una piccola ripresa dopo il 1569.
Giovanni Francesco morì nel 1579, anno nel quale stampò alcuni fogli volanti, che non hanno il nome dello stampatore ma gli sono da attribuire con sicurezza.
Egli usò due marche: uno scudo sostenuto da due soldati, o da due angeli, entro il quale è un cuore con triplice croce e le iniziali “F. G. F.”; il pellicano su un’anfora sorretta dalle code intrecciate di due mostri, con le stesse iniziali sull’anfora e il motto “Non sine quare, sic facio”. Questa ultima marca fu usata anche da Clara Giolito, moglie o figlia di Giovanni Francesco, al quale successe nella direzione della tipografia. Clara stampò poche edizioni, una decina circa sottoscritte, tra il 1585 e il 1596.
Fonti e Bibl.: G. Vernazza, Diz. dei tipografi e dei principali correttori e intagliatori che operarono negli Stati sardi di terraferma e più specialmente in Piemonte sino all’anno 1821…, Torino 1859, pp. 165-169; S. Bongi, Annali di Gabriel Giolito de’ Ferrari da Trino di Monferrato stampatore in Venezia, I, Roma 1890, pp. XI-XXII; M. Bersano Begey – G. Dondi, Le cinquecentine piemontesi, III, Torino 1966, pp. 162 s., 290-299; G. Dondi, G. G. editore e mercante, in La Bibliofilia, LXIX (1967), pp. 147-189; Id., Una famiglia di editori a mezzo il secolo XVI: i Giolito, in Atti dell’Accademia di scienze di Torino, classe di scienze morali, storiche e filologiche, CII (1967-68), pp. 583-709; F. Ascarelli – M. Menato, La tipografia del ‘500 in Italia, Firenze 1989, pp. 217 s., 242 s., 244-246, 373.