Faà Camilla

A cura di Pierluigi Piano

liberamente tratto dalla voce Faà, Camilla, a cura di F. Satta, in Dizionario Biografico degli italiani, vol. 43 (Enzo – Fabrizi), Roma, IEI 1993, pp. 591 – 593.

Nacque nel 1599 a Casale Monferrato da Ardizzino, di nobile famiglia originaria di Fontanile, conte di Bruno, e della casalese Claretta, di cui non ci è dato conoscere  il casato.

Il padre, Ardizzino, svolse importanti incarichi politici e diplomatici per i Gonzaga. Rimasta orfana di madre, e con il padre spesso lontano, Camilla fu educata presso un monastero di Alessandria. Fu a Casale, però, che ebbe modo di conoscere Margherita di Savoja, moglie di Francesco IV Gonzaga. Quando questi nel 1612 divenne quinto duca di Mantova, la duchessa volle che la Faà facesse parte del suo seguito e la portò a corte. Rimasta vedova il 22 dicembre di quell’anno, Margherita vide anche svanire la possibilità di sposare il cognato, l’allora cardinale Ferdinando in procinto di rinunciare alla porpora per succedere al fratello. Ella, privata del titolo, ritornò a Torino col seguito delle sue dame. Successivamente, per ordine del padre Carlo Emanuele, in attrito con i Gonzaga per i diritti sul Monferrato, nell’autunno del 1614 dovette rimandare indietro le dame «forestiere», tra le quali la Faà, che si fermò a Casale. Nel frattempo, ricevuta nell’ottobre del 1613 l’investitura imperiale dei suoi ducati, Ferdinando non volle rinunciare – sulla scia dei fasti del padre Vincenzo – a ricostituire una corte brillante, animato da una viva passione letteraria e musicale. Fu così che la Faà venne richiamata a corte per volere di Ferdinando stesso che doveva averla già notata precedentemente; la Faà infatti, oltre ad essere molto giovane, pare fosse anche bellissima.

Nel giugno del 1615, Ottavio Valenti, uomo di corte, le fece una proposta di matrimonio. È presumibile che Ferdinando avesse già rivolto la sua attenzione alla sedicenne Camilla, al tempo della cerimonia di fidanzamento con il Valenti celebrata l’8 settembre 1615 alla presenza del duca e di sua zia Margherita Gonzaga, vedova di Alfonso II d’Este.

Margherita ebbe una grande influenza sia sul fratello Vincenzo, sia sul nipote Ferdinando e seguiva con grande attenzione le vicende politiche del suo casato. Assai preoccupata della temuta estinzione della linea dominante dei Gonzaga e quindi del passaggio del Ducato a quella collaterale francese dei Nevers, Margherita cercò sempre di influenzare le strategie matrimoniali del nipote, e fu tra i personaggi più ostili alla bella Faà, che non avrebbe potuto rappresentare un partito adeguato per Ferdinando.

Le nozze fra il Valenti e Camilla non furono però mai celebrate, evidentemente per volere di Ferdinando stesso che, rimesso il cappello cardinalizio al Pontefice e ottenutane la libertà dai vincoli sacerdotali, il 6 gennaio 1616 fu incoronato duca di Mantova e del Monferrato.

In questo particolare momento storico, alla vigilia della guerra dei trent’anni e alla lotta fra la Spagna e la Francia per il predominio in Italia.

I delicati problemi del casato, non impedirono a Ferdinando di incappricciarsi di Camilla. Per vincere le resistenze della ragazza venne inscenato una sorta di matrimonio segreto: le «nozze» furono celebrate il 19 febbraio 1616 nella cappella ducale di Santa Barbara, da monsignor Gregorio Carbonelli, il quale funse da parroco. Unico testimone fu Alessandro Ferrari, aiutante di camera di Ferdinando. Alla Faà fu consegnato dal duca anche un biglietto autografo datato 18 febbraio, in cui egli si impegnava a sposarla. Tale biglietto ebbe poi un’importanza fondamentale nell’evolversi della vicenda.

Ardizzino, che si era sempre dimostrato contrario alla relazione fra la figlia e il duca, fu messo al corrente del matrimonio quando questo era già stato celebrato. Secondo quanto Camilla stessa riferisce nelle sue Memorie, espresse al Carbonelli il dubbio sulla liceità di celebrare matrimoni da parte sua, non essendo parroco, come richiesto dalle norme conciliari; le venne risposto dal Carbonelli che, essendo la cappella di corte considerata una parrocchia per un accordo speciale, egli, in quanto abate di quella cappella, era abilitato a celebrare matrimoni. A queste assicurazioni, alcuni giorni dopo le nozze, tenne dietro una ratifica scritta del duca di quanto era avvenuto. Nel giugno successivo la Faà ricevette in dono da Ferdinando il feudo di Mombaruzzo nel Monferrato, con il titolo di marchesa, acquisendo una cospicua rendita annuale. Nonostante questo tipo di gratificazioni che la ponevano al di sopra di tutte le altre dame, la sua posizione a corte, dove ufficialmente nessuno sapeva del matrimonio, ma tutti ne parlavano, si faceva sempre più delicata e contrastata.

Quando nel luglio 1616, Ardizzino passò a miglior vita, Camilla ritenne opportuno allontanarsi da Mantova, sebbene incinta. Partì il 3 settembre 1616, dopo aver spedito a Paolo V una lettera in cui lo supplicava d’interessarsi alla sua vicenda, e dopo un breve soggiorno a Bruno, nel feudo del fratello Ortensio, si stabilì a Casale. Nonostante la lontananza, la relazione con il duca continuò tramite una fitta corrispondenza clandestina. Ferdinando, sebbene manifestasse un amore sincero («son così perduto in me che quando ho bisogno di me vengo in voi per ritrovarmi…»: vedi Sorbelli Bonfà, p. 27), per ragioni politiche dovette tuttavia intavolare trattative matrimoniali con il granduca di Toscana. Cosimo II, prima di impegnare la sorella ventiduenne, Caterina, pretese però determinate garanzie fra le quali la restituzione dell’autografo del duca di Mantova, in possesso della Faà e la dichiarazione di nullità di quelle nozze da parte del pontefice. Paolo V non concesse mai tale annullamento. Ciò fece presupporre a molti, anche in epoche successive, la validità delle nozze con la Faà. In realtà il Pontefice non poteva annullare un matrimonio che non si era mai verificato per difetto di forma: secondo i dettami del Tametsi tridentino sarebbero occorsi almeno due testimoni per poter celebrare le nozze. Tant’è vero che da Roma furono concesse, invece, tutte le dispense necessarie per il matrimonio fi Ferdinando con la de’ Medici. Da parte dei Gonzaga si cercò allora di riavere indietro almeno l’autografo del duca. Alle resistenze della Faà che non intendeva restituirlo, Ferdinando tentò di risolvere la questione inviando al granduca un duplicato dell’importante documento. Anche in questa fase dell’intricatissima vicenda il comportamento di Ferdinando fu ambiguo: mentre mandava avanti trattative con i Medici, non si trattenne dal recarsi a Casale, nel novembre 1616, per rivedere Camilla, la quale il 4 dicembre seguente diede alla luce il suo unico figlio, Giacinto Teodoro. Tale evento non evitò però che il Gonzaga comunicasse alla Faà la prossimità delle sue nozze con Caterina de’ Medici. Le trattative erano proseguite con mille difficoltà, tra la diffidenza di Cosimo e l’ambiguità di Ferdinando. Si giunse comunque alle fastose nozze con Caterina de’ Medici, celebrate a Firenze il 7 febbraio 1617. Nello stesso mese Camilla Faà inviava a Ferdinando il ritratto di Giacinto; la corrispondenza clandestina fra i due continuò anche dopo il matrimonio ufficiale del duca: è forse per questo motivo che Caterina esigette nuove nozze per la Faà. A questo scopo, nonostante le sue resistenze, la si fece ritornare a Mantova, dove arrivò il 16 luglio 1617; privata del figlio, venne ospitata nel monastero delle monache carmelitane, detto il Carmelino, dove restò per circa un anno durante il quale Ferdinando, pressato da Caterina, cercò di convincere la Faà a rimaritarsi. «Il che ero risolutissima di non fare», scrive Camilla nelle sue Memorie; ella considerò sempre valido il suo matrimonio con Ferdinando. Fu così che dovette nuovamente essere allontanata da Mantova, dove rappresentava una costante causa di disaccordo fra i duchi. Nell’ottobre del 1618 venne allora rinchiusa nell’aristocratico convento delle clarisse del Corpus Domini, a Ferrara. Colà continuò a rifiutare l’espediente di risposarsi. La corte mantovana, ma soprattutto Caterina, esigettero allora la monacazione della Faà la quale accettò, pur dettando delle precise condizioni di natura essenzialmente economica; Camilla dovette però rinunciare al marchesato non a favore del fratello, come lei avrebbe desiderato, bensì del figlio e accontentarsi di una rendita di 1.200 ducati annui. Con una speciale dispensa da Roma le fu poi concesso, secondo quanto lei stessa aveva richiesto, di poter professare i voti lo stesso giorno della vestizione: il 22 maggio 1622 Camilla Faà diventò così suor Caterina Camilla. A testimonianza del suo passato le fu concesso di mantenere il cognome dei Gonzaga, con il quale sempre si firmò.

Durante il primo periodo di clausura i suoi rapporti con la corte furono particolarmente distesi e caratterizzati da un fitto scambio di doni e di lettere. Nel giugno successivo le fu concesso di rivedere Giacinto, che all’epoca aveva sei anni (il bambino visse a corte; Ferdinando cercò invano di farlo riconoscere come erede legittimo, e riuscì solamente ad attribuirgli alcuni benefici nel Monferrato). Caterina poté rincontrare il figlio, per l’ultima volta, nell’ottobre del 1625, quando ormai i contatti epistolari con il duca si erano quasi del tutto esauriti. Il 29 ottobre 1626 Ferdinando morì all’età di trentanove anni di età; l’anno successivo morì anche il fratello Vincenzo che gli era succeduto. La scomparsa dei due fratelli, che non avevano lasciato eredi legittimi, riportò così alla ribalta le nozze segrete della Faà: la successione al Ducato di Mantova riacquistava massimo interesse per l’equilibrio europeo. La Spagna caldeggiava infatti la successione di Giacinto per impedire quella dei Gonzaga Nevers; ma egli morì di peste nel 1630. Camilla Faà, ormai sopravvissuta agli altri protagonisti della sua vicenda (nel 1629 erano morti anche Caterina de’ Medici e l’abate Carbonelli), dovette affrontare gravi problemi economici: la provvisione pattuita, e regolarmente corrisposta finché Ferdinando fu in vita, era stata sospesa da Vincenzo in seguito ai dissesti finanziari di casa Gonzaga. Solo nel 1634 il nuovo duca, Carlo I Gonzaga Nevers, le riconcesse l’assegno, sebbene notevolmente ridotto rispetto alla somma iniziale.

La Faà si spense a sessantatre anni, il 14 luglio 1662, nel monastero di Ferrara dove si trova il manoscritto delle sue Memorie e una lapide fatta apporre dalle sue nipoti ancora la ricorda.

Le Memorie (edite in Corbelli Bonfà, pp. 119 – 134) descrivono un periodo relativamente breve della vita di Camilla Faà, dal 1615 fino al 1622, anno in cui prese i voti. Esse hanno rappresentato una fonte di ispirazione per una serie di scrittori e di romanzieri del sec. XIX. A loro la vicenda della Faà deve la sua notorietà, oltre al grande scandalo che suscità all’epoca. Le Memorie, al di là di ogni interpretazione romantica, rappresentano una fonte preziosa per comprendere il carattere e la personalità della Faà sia pur con alcune discordanze di carattere cronologico rispetto ai documenti; inoltre, mentre alcuni eventi vengono esposti con dovizia di particolari, quale per esempio, il suo primo incontro con Ferdinando, altri vengono clamorosamente tralasciati, quali il fidanzamento con il Valenti. Lo stile è concitato, come se la Faà, anche a distanza di anni, rivivendo quei momenti tormentati della sua vita, ne fosse ancora emotivamente coinvolta.

Fonti e Bibliografia:

Archivio segreto Vaticano, Fondo Borghese, serie I, 971: Negozio del matrimonio del card. Vincenzo Gonzaga e di q.llo che haueua fatto prima il duca di Mantova con la contessa Faa, che contiene ai ff. 168 – 170 una lettera autografa della Faà a Paolo V.

Vedi inoltre:

A. Possevino, Belli Monferratensis istoria, Mantuae 1632, ad Indicem; P. Giacometti, Camilla Faà da Casale. Dramma storico in tre atti, Firenze 1857; G. B. Intra, La bella Ardizzina. Romanzo storico, Milano 1881; F. Corbelli Bonfà, Camilla Gonzaga Faà. Storia documentata, Bologna 1918; G. Cecchini, Camilla Gonzaga Faà di F. Corbelli Bonfà, in <Archivio storico italiano>, LXXVIII (1920), pp. 280 – 286; G. Zapparoli, Camilla Gonzaga Faà, contessa di Bruno e marchesa di Mombaruzzo. Novella storica mantovana in versi, Lucca 1923; L. Mazzoldi, Da Guglielmo III duca alla fine della prima dominazione austriaca, in Mantova. La storia, III, Mantova 1963, ad Indicem; G. Spagarino Viglongo, La monferrina Camilla Faà di Bruno vera duchessa di Mantova, Torino 1987; C. Montagna, Nec ferro nec Igne – Nel segno di Camilla, Alessandria 2012.